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Che non ci fosse da farsi illusioni sulla giustizia sportiva lo avevamo capito da tempo (il 2006 ne ha peraltro provocato un crollo epocale e definitivo), ma quello che sta accadendo con Pentitopoli sembra superare davvero i confini della realtà.
Certo, quando sono spuntati alcuni cosiddetti pentiti (ma in realtà collaboratori di giustizia, perché il pentimento, di per sé moto dell’animo spontaneo e non indotto dal tentativo di levarsi nei guai), in molti si son rallegrati: finalmente si pulisce questo mondo!
Ma con l’andar del tempo diventa impossibile non notare che chi ha in mano la ramazza la usa in maniera selettiva: un déjà vu di Calciopoli dove, per colpire quello che venne definito un sistema, ma che era sostanzialmente un malcostume diffuso eretto a cupola, visto che si badò solo a correr dietro ai ‘misfatti’ di Moggi si decise, in modo assolutamente ‘discrezionale’ (ed è un totale eufemismo) cosa interessasse e cosa no.
Anche in Scommessopoli la ramazza lascia ampi spazi di immondizia, mentre lucida e mette anche la cera su altri tratti del pavimento.
La cosiddetta parità di trattamento è ancora una volta utopia.
La giustizia sportiva ha mutuato da quella ordinaria gli sconti di pena per chi collabora; anche se Platini era stato categorico (e lo è tutte le volte che mette lingua: tolleranza zero, fuori per sempre) nel chiedere squalifiche a vita per queste cose che ‘uccidono il calcio e l’essenza di questo sport’: fuori dal calcio le mele marce.
Ma anche agli sconti non può non esserci un limite (a meno di non prescrivere/proscrivere l’etica); e così pure alla totale credibilità di questi ‘collaboratori’, con tutto quel che hanno alle spalle; e che usano le loro informazioni a scopo difensivo: ma va da sé che più nomi fanno, e più eclatanti questi sono, più la loro collaborazione viene considerata determinante e li ammette a patteggiamenti che sconcertano.
E i primi ad essere sconcertati sono coloro che, di contro, non hanno fatto nomi, anche perché magari non ne avevano proprio: e sono ancora lì a gridare la loro innocenza alla luna, senza la possibilità di confronti e di controinterrogatori di chi li ha accusati. Si trovano imputati, con le mani legate e condannati a pene severissime.
E dire che in sede di interrogatorio avevano avuto il suggerimento sulla strada da prendere.
Sentiamo Paoloni: “Palazzi mi ha detto: ‘Se tu dici questo, avrai uno sconto della pena’. Ma perché avrei dovuto dire cose che non ho fatto?"
E Locatelli: "Mi dicevano: ‘devi collaborare, devi fare dei nomi!’, ma io di nomi da fare non ne avevo e non mi sembrava giusto fare nomi di gente che non c'entrava nulla solo per alleggerire la mia posizione… Alla fine però vedi che certa gente che ne ha fatte di tutti i colori si è presa solo 20 mesi....”
Perché Locatelli dovrebbe essere meno credibile di Carobbio e Gervasoni? Il fatto che su alcuni punti le versioni dei due ‘dissociati’ concordino non dà nessuna certezza che ogni loro altra affermazione sia sacrosanta. La realtà invece è che ogni loro parola è diventata verità assoluta oltre ogni ragionevole dubbio, anche se queste parole escono a rate, una pillola di verità ad ogni nuovo interrogatorio: e tutti in attesa della prossima puntata, del prossimo nome da sparare in prima pagina; che fa anche comodo a molti, in un periodo di crisi. Ma Palazzi: “Non ci sono motivi per mettere in dubbio l’attendibilità di Gervasoni e Carobbio”.
Però qualcuno non c’è stato e cominciano ad arrivare le calunnie e altre, c’è da giurarci, ne arriveranno: “Accusarli di calunnia è un’operazione difficile da sostenere – mette le mani avanti Palazzi - anche se capisco che è il prezzo da pagare per chi decide di dare un taglio con il passato”. Bella decisione, arrivata quando i rei (ora confessi) si sono resi conto che il gioco era stato scoperto e che la pacchia era finita: più che rimorso per il male compiuto tutto ciò assomiglia a tanto a paura delle conseguenze delle proprie azioni; con il corollario di programmarsi un futuro meno incerto. E a noi restano le lacrime del presidente dell’AlbinoLeffe, sgomento di fronte alla scoperta che il suo spogliatoio era diventato vera e propria associazione a delinquere; risultato: una richiesta di 27 punti penalità, retrocessione agli Inferi, una società praticamente al limite del collasso finale; molto prima che il club potrà ritornare, se mai vi riuscirà, come tutti i suoi tifosi si augurano (ma quanto accaduto alla Juventus, società, almeno teoricamente, più attrezzata, serve d’esempio e di lezione, e spaventa), Carobbio e Gervasoni avranno avuto il semaforo verde per rientrare nel mondo del calcio, magari ad insegnar calcio ai bambini, come vorrebbe Carobbio.
Ma nulla scuote il procuratore federale dalle sue certezze: ‘E’ del tutto superfluo riascoltarli qui. La messe di patteggiamenti che c’è stata, pur davanti a sanzioni non da poco, dimostra ulteriormente la bontà delle dichiarazioni di Gervasoni e Carobbio’.
E si va avanti così, con una giustizia sportiva che, per premiare chi ha seguito una strada costellata di segnali stradali, con tanto di rotonde e semafori, mette nell’impossibilità di difendersi coloro che si vedono colpiti da accuse che, superata d’un balzo la fase della presunzione di innocenza, vengono date per certe: senza prove, se le cerchino loro. Imparino da Calciopoli: piaccia o non piaccia, non c’erano telefonate del signor Moratti e del signor Campedelli. Poi invece c’erano, ma ha dovuto trovarsele l’imputato, quando il castello era stato già edificato e munito con un fossato e mura difese da arcieri (spesso paludati di rosa) e catapulte pronte a lanciare pece e fango bollenti sugli sgraditi visitatori. Questa è storia e la storia è sovente ciclica: gli stessi eventi si ripresentano regolarmente, a distanza di tempo, con nomi diversi a recitare le stesse farse tragiche, che coprono spesso vergognose realtà: Farsopoli con l’illecito strutturato e il reato di tentativo a mettere la coperta e la sordina alla squallida realtà svelata da Tavaroli, Scommessopoli a buttar fumo negli occhi agli ingenui e fango su chi cerca di diradarlo, a sotterrare un sottobosco criminale per il quale il calcio non è uno sport, ma è solo un asset che la disonestà di alcuni ha reso più taroccabile di altri. Ma gli alcuni ‘si pentono’ e dopo una breve quarantena ritornano in pista e la giostra ricomincia a girare, lasciando a terra chi non aveva nulla di cui pentirsi.
In Scommessopoli sinora sono sfilati nomi di piccolo cabotaggio, ora con le carte di Bari è iniziata l’escalation e saranno i pezzi grossi a tener banco, a foraggiare le vendite dei quotidiani e a dare visibilità, vista la stagione propizia, a quelli tra essi che abitualmente stazionano sul bancone dei gelati.
E altri pentiti bussano alla porta del bar: c’è un certo Gegic, sinora latitante, che ha da raccontare a Di Martino la sua verità su Novara-Siena: guarda caso quella per cui è indagato Antonio Conte.
Buona estate a tutti!