ConteWe shall overcome
We shall overcome someday
Oh, deep in my heart
I do believe.
We shall overcome someday
We walk hand in hand
We are not afraid.

Perché uniti si vince.
E Conte e la Juve, in questa 'guerra', perché ormai dichiaratamente tale è, contro le istituzioni del calcio di questo povero Paese, non saranno soli.
In ogni caso un altro 2006 non ci sarà.
Allora anche noi tifosi fummo presi un po' alla sprovvista: avevamo sempre confidato nelle regole scritte e vigenti, non preoccupandoci, se non nelle discussioni al bar, di controbattere il sentimento popolare, convinti che non potesse mai esser quello a dettar legge.
Ma nella penombra c'era chi orientava a tutto spiano e l'immaginario collettivo fu il boia che ghigliottinò la Vecchia Signora.
Con una giustizia, sportiva e non, dai gusti 'particolari'. All'orrendo banchetto di Calciopoli essa, con i suoi convitati, spolpò accuratamente il boccone più prelibato e abbandonò tutto il resto, ben più abbondante e sostanzioso, ma meno confacente ai gusti dei più, sul tavolo, sino alla data di scadenza, la beneamata prescrizione.
E la Juventus?
Subì: la proprietà, dopo essersi rapidamente disfatta di una dirigenza probabilmente mai amata, non difese la Vecchia Signora; l'avvocato Zaccone mollò subito la presa e alzò bandiera bianca; il CdA, opportunamente imbeccato da Montezemolo (e di questo Blatter non lo ringrazierà mai abbastanza), ritirò il ricorso al Tar salvando il calcio italiano dalla paralisi.
Il resto è storia nota: la Juve rispettò le sentenze, il che non significò accettarle. Men che meno lo avrebbero fatto i tifosi. E anche il club lo dichiarò, finalmente, apertis verbis, dopo che alla sua guida assurse Andrea Agnelli, presidente per amore.
Sono stati anni tormentosi, nel corso dei quali in prima linea hanno lottato, soprattutto sul web, gruppi di tifosi che, presto riavutisi dallo stordimento causato dalla botta iniziale, si son fatti avvocati amoris causa, esegeti di sentenze, leggi, codici e quant'altro, studiosi di diritto sportivo. Tempo libero, notti incluse, votato alla Causa.
E adesso, tutti i cinque, anzi sei, forse sette, sensi all'erta, sono pronti a lottare. Perché, seguendo Brecht, quando l'ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.
E ciò che si va architettando nei confronti di Conte, l'uomo-schermo (perché l'obiettivo è la zebra), il marchio dell'ingiustizia lo reca ben impresso sulla fronte.

Palazzi per Conte ha detto: omessa denuncia.
Quando invece, aspirando ad una condanna, per Novara-Siena avrebbe potuto dire solo: illecito.
L'unico elemento che ha tra le dita, costituito dalle parole dell''amico Pippo', dice questo.
Ma gli spifferi che vengono da Cremona lo hanno reso, forse all'ultimo momento, prudente e guardingo.
Eppure la derubricazione ad omessa denuncia, peraltro ventilata, suggerita sarebbe da dire, da più parti negli ultimi tempi, non sta in piedi neanche con le stampelle: è il solito pateracchio all'italiana, che in qualsiasi giustizia che non fosse quella del circolo della caccia sarebbe troppo facilmente smontabile per trovar cittadinanza; proprio perché, semplicemente, le dichiarazioni del 'pentito' Carobbio non rivolgevano a Conte tale accusa.
Conte che arringa lo spogliatoio per ottenere un pareggio concordato è illecito, solare e pieno.
Peccato che, vien da dire, Conte, prima di catechizzare i suoi, non abbia verificato che fossero già entrati nella stanza, perché in realtà il suo sciagurato appello è stato udito dal solo Carobbio (e pare anche dalla moglie, forse per corrispondenza d'amorosi sensi).
Infatti tutti gli altri componenti della squadra negano che ciò sia mai avvenuto, e lo sottoscrivono.
Palazzi, nello stendere il suo deferimento, non si è certo preoccupato del fatto che a supporto della sua decisione ci fosse solo la parola dell'accusatore (a carico del quale erano stati peraltro pubblicamente esibiti forti indizi di risentimento personal-familiare nei confronti del tecnico) e nessun riscontro (non parliamo di prove, per carità...), perché tutte le testimonianze vanno nella direzione opposta.
Oltretutto mancava anche l'unico altro elemento che avrebbe potuto puntellare l'accusa: il movente.
A giocare contro se stesso Conte (e l'intera squadra con lui) aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare, a tutti i livelli.
Avrebbe potuto starci se il tecnico salentino fosse stato uno scommettitore, o un organizzatore di combines, come il suo accusatore ("ho venduto delle partite e ne ho combinate delle altre"), ma così è certo che non è.

E quello che più sconcerta, o dovrebbe sconcertare, le coscienze è come, dopo tanti strepiti perché il mondo del calcio fosse liberato dalle mele marce, dalle parole di Palazzi esca a tutto tondo un ritratto positivo di Carobbio aka bocca della verità: che manifesterebbe 'una struttura caratteriale e un maturare di sentimenti' alieni da qualsiasi "avversione bieca" e/o velleità di vendetta nei confronti dell'allenatore, le cui motivazioni addotte appaiono "inconferenti e prive di pregio". Parliamo di un reo (confesso) di tante combines messo a confronto con una persona onesta, fino a prova contraria; le cui parole sono suffragate dalle parole di tante persone oneste, sino a prova contraria. Ma vince la parola della mela marcia confessa; che, oltre ai grossi vantaggi che gliene deriveranno in termini di sanzioni, si prende in qualche modo una rivalsa su un tecnico e un ambiente che, come ha dichiarato anche il presidente Mezzaroma nella sua audizione, erano stati di ostacolo ad un iperbolico sogno di fulgida carriera, stroncato in realtà dal campo, l'unico che dice sempre la verità

D'altronde se la Procura di Cremona ha rapidamente messo da parte il caso Conte è perché non ha riscontrato sussistere elementi di sorta a supporto delle accuse (nonostante una perquisizione e controlli a tappeto, non chiacchiere).
Ma Palazzi non poteva fermarsi lì: e imperterrito ha continuato per la sua strada, nascondendosi dietro il postulato che la giustizia sportiva è un'altra cosa: quasi che la parola 'giustizia' possa mutar di significato a seconda dell'ambito di applicazione. Si abbia dunque la decenza di chiamare in altro modo il sistema di regole e procedure seguito dagli inquirenti federali; chiamate tutto ciò come vi pare, ma non dissacrate così un concetto che vanta millenni di onorata cittadinanza presso le più svariate civiltà.

In realtà la strada di Palazzi corre parallela alla strada della Figc, il cui presidente Abete d'altronde (dopo qualche iniziale perplessità sulla magnanimità verso i pentiti, e se lo dice lui...), gli ha recentemente promesso il rinnovo dell'incarico.
Che tra Juve e Figc sia guerra aperta è sotto gli occhi di tutti: c'è in ballo di causa per 444 milioni di euro, roba da mandare in fallimento la Federazione con annessi e connessi.
E c'è la questione della stella. La Juventus non ha messo la terza stella, si è 'limitata' a togliere proprio di mezzo un simbolo che, nel degrado istituzionale post Farsopoli, aveva perso quel valore di cui l'aveva caricato il dottor Umberto, il suo promotore: quello di premiare chi sul campo (l'unico che dice la verità) avesse vinto dieci (e suoi multipli) scudetti.
Se è il campo a decretarlo ha un senso (e la terza stella fa bella mostra di sé allo stadio e nei luoghi Juve, dove comanda la legge del campo); ma se è la Figc, con i suoi tavoli e tavolini, non esiste proprio.

La Juve di Andrea è una Juve pronta a lottare: a fianco di Conte, oltre al suo legale personale De Renzis, ci saranno due legali di fiducia del club, Michele Briamonte (che in Figc hanno già 'assaggiato') e Luigi Chiappero, pronti a difendere Conte, e la Juve di riflesso, a spada tratta. E certo scegliendo a ragion veduta, soppesando le conseguenze: a costo di ingoiare qualche boccone amaro. C'è chi sta facendo ancora danno. Ma sappiano: la Juve ora è decisa a far danno a chi ci sta facendo danno. E' pronta a soffrire, a medicare le ferite, per lottare, uscire dal tunnel e tornare a riveder le stelle; punta con decisione a vincere la guerra: perché vincere alla Juve non è importante, è l'unica cosa che conta.

E' in quest'ottica, in realtà, che la Juve avrà con sé i tuoi tifosi: siamo una squadra, nei momenti duri e nei trionfi.
E i tifosi lottano e lotteranno. Con Conte capitano hanno condiviso la gioia di Udine e l'amarezza di Perugia; ora hanno vissuto con lui la gioia di Trieste e non lo lasceranno solo in questi momenti amari. Sempre al suo fianco. E non tanto e solo perché lui è l'allenatore che ha riportato questa squadra alla vittoria (in fondo questa è stata la causa prima delle sue disgrazie: ha preso tutti di sorpresa riportando subito la Juve lassù, dove nessuno la voleva), ma perché sanno chi è Conte; la gente della Juve sa che Conte quella schifezza del calcioscommesse (pentiti ad orologeria inclusi) non sarebbe stato nemmeno in grado di immaginarla.
C'è la consapevolezza che anche questa è solo una battaglia: perché la guerra sarà lunga; ma non si può cedere davanti a tanto obbrobrio. Anche quando in qualcuno potrebbe far capolino la tentazione di mandare al diavolo tutto, calcio incluso.

Rispunteranno le accuse di doping legale? Ma mille volte meglio i tribunali in Italia e, magari meglio, fuori, del perpetuarsi delle ingiustizie. E non ci si parli più di tavoli della pace e quant'altro. Glieli ribalteremmo addosso con tutti i loro mazzi di carte taroccate e con tutte le loro inutili scartoffie sparpagliate al vento.

We shall overcome
We shall overcome someday
Oh, deep in my heart
I do believe
We shall overcome someday
We walk hand in hand
We are not afraid.



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