ConteDue immagini giocano a ping pong nella mia testa: quella del Conte triste e stranito, che non si capacita di perché stia lì, dietro i vetri del box allo J Stadium e ad Udine e quella di un Mondonico a commentare Bulgaria-Italia sulla Rai (della quale sta rapidamente scalando i palinsesti): e Mondonico altro non è se non l'omologo di Antonio Conte sul fronte AlbinoLeffe. Ad Antonio Conte sono stati 'inferti' dieci mesi di squalifica perché 'non poteva non sapere' della combine di AlbinoLeffe-Siena: sull'altra panchina, evidentemente autorizzato a non sapere, c'era quell'Emiliano Mondonico a capo di uno spogliatoio che, come ha riconosciuto in lacrime un allibito presidente Andreoletti, si era andato nel corso degli anni trasformando in una sorta di associazione a delinquere. Né 'Mondo' né il suo predecessore Madonna ("Mi spiace non essermene accorto, ma allora siamo in tanti a non averlo fatto e penso a tutti i colleghi allenatori delle squadre coinvolte e alle altre figure professionali a contatto coi giocatori. Come tecnico non avevo la responsabilità di vigilare sui comportamenti dei giocatori, io faccio l'allenatore e non il detective", ha detto quest'ultimo) hanno mai rilevato segnali di allarme. Ci sta. Non è legittimo pensare che la guida tecnica dell'AlbinoLeffe sapesse alcunché, anche se sarebbe stato molto più concepibile che qualche indizio potesse venir captato nel lungo lasso di tempo che va dal giugno 2008 al maggio 2011 (tale l'arco temporale degli illeciti attribuiti ai giocatori blucelesti), che non in un unico episodio isolato.
La spiegazione che la cosiddetta 'giustizia sportiva' sembra fornire di ciò si riduce al carattere accentratore di Antonio Conte: quasi che Mondonico abbia fama di mammoletta. Perché 'Mondo', sin dai suoi tempi granata, ha sempre avuto fama di duro, uno con un carattere aspro e niente affatto incline ai compromessi, dote che lo ha portato a grandi soddisfazioni professionali (5 promozioni in carriera) ma anche a rapporti saltati all'aria con alcuni club (Cosenza e Fiorentina, per esempio): un carattere dunque non molto dissimile da quello di Conte, anche per la veemenza nei confronti di arbitraggi ostili; ricordiamo tutti la sedia alzata al cielo, in quell'Ajax-Torino finale persa di Coppa Uefa, in segno di protesta per un rigore reclamato dal Toro ma non concesso dall'arbitro Petrovic.

Eppure solo Conte non poteva non sapere. Che di per sé è un assurdo: non solo alla luce di quello che dovrebbe essere, anche per la giustizia sportiva, un caposaldo, cioè il superamento di ogni ragionevole dubbio per arrivare ad una condanna, pena il dover togliere di mezzo la parola giustizia; non è così, ci hanno detto (e mi pare davvero un assurdo: sul piano regolamentare, che ha riflessi sulle carriere professionali dei soggetti coinvolti, una squalifica ha gli stessi effetti perversi che una condanna ha sul versante penale per la qualità di vita di un cittadino), basta un grado di prova superiore alla semplice valutazione della probabilità. Ebbene, anche applicando questo sciagurato criterio, con Conte non ci siamo. Il non poteva non sapere è 'semplicemente una probabilità', per di più conseguenza di una presunzione di colpevolezza, che in teoria poteva essere estesa a tutto l'ambiente del Siena (esattamente come a tutto quello dell'AlbinoLeffe, presidente in lacrime incluso). Non c'entra il carattere: a prescindere dal fatto che Stellini ha escluso che Conte sapesse (e, considerato il carattere tutto d'un pezzo e fumantino del tecnico salentino, c'è da giurarci che lo stesso Stellini, per la sua 'incolumità', avrebbe fatto di tutto perché Conte non avesse mai nemmeno a concepire il più piccolo sospetto di mezzucci di qualsiasi genere), serviva almeno un minimo riscontro, per superare la semplice possibilità che il fatto sussistesse. La cosa che lascia basiti è che, siccome questo riscontro non c'era, è stato 'posticciato' lì, facendo leva sull'ennesimo 'ricordo' a scoppio ritardato del solito Pippo Carobbio che, improvvisamente, all'alba del 10 luglio 2012, in maniera del tutto provvidenziale per la Procura federale, si risovviene del presunto mobbing di Conte nei confronti di Mastronunzio, escluso da gare e ritiri per non aver voluto aderire alla combine: e questa per la Commissione Disciplinare è addirittura una prova; ma andando a cozzare non contro quelle che erano solo semplici parole, per di più di una mela marcia confessa che aveva tutto l'interesse a sviare gli inquirenti da quelle che sono le sue pesanti responsabilità (che esorbitano largamente anche dalla sede sportiva), ma contro i fatti: la condizione di infortunato della 'Vipera', documentata dal sito del Siena in tempi non sospetti, cioè in tempo reale rispetto alla combine, e non posteriormente, quando faceva solo gioco all'accusa; senza contare che lo stesso Mastronunzio (uno dei condannati per illecito nel primo filone) ha prontamente smentito tutto, non solo confermando i suoi infortuni ma anche dichiarando di aver sempre rispettato le scelte di Conte anche quando costui, aduso a non guardare in faccia a nessuno quando di tratta di scegliere gli uomini da mandare in campo (ne sanno qualcosa i vari Krasic, Elia e lo stesso Del Piero), lo aveva escluso in alcune occasioni dalla formazione per scelta tecnica ('affronto' che invece dev'essere andato storto a Carobbio).

Resta dunque solo il 'non poteva non sapere', che invece in realtà, non poggiando su nulla, sarebbe solo una remota possibilità, altro che 'grado di prova superiore alla semplice valutazione della probabilità'; ma è comunque un 'sarebbe', perché cozza proprio contro il carattere di Conte, letto a rovescio, sul piano psicologico, dalla Corte di Giustizia Federale; perché chi ha minimamente seguito la carriera di Conte ne ha sempre evinto due caratteristiche: la voglia di vincere e la determinazione a spremere dai suoi uomini fino all'ultima goccia delle loro potenzialità, anche quando si vince già 3 o 4 a 0; è una questione di mentalità, che si porta appresso da quando giocava e che lo accompagnerà fino all'ultimo istante della sua carriera. E la cosa più strana è che sia stato usato contro di lui proprio il suo carattere, che avrebbe dovuto essere il suo scudo.

Ma qual è la vera differenza che contrappone Antonio Conte ai suoi colleghi passati indenni tra le fiamme di Scommessopoli? E' il fatto di essere un vincente e, perché no, checché ne dica Abete, di aver portato al successo quella Juventus che vive "come una dimensione di guerra, o comunque come una dimensione di contrasto, una diversità di posizioni su temi che sono temi che sono all'interno delle titolarità dei vari organismi". Un successo inopinato, per di più aggravato dall'aver ribadito che si tratta dello scudetto numero 30, e la Figc si tenga pure le sue stelle, che la Juve si tiene le sue, che fa risplendere sul campo come le sue limpide vittorie. Perché anche in Scommessopoli la giustizia sportiva ha adottato un doppio binario: sul primo, ad alta velocità, hanno viaggiato i tesserati bianconeri: da Conte e Bonucci e Pepe (che si sono salvati solo perché Andrea Masiello non ha saputo confezionare il suo pacco dono alla Procura federale con i fiocchetti giusti, come ha saputo fare il più scaltro Carobbio); sul secondo, che pare essere un binario morto, tutti gli altri: dal filone di Napoli (dove ci aspettiamo, tra le altre cose, un Mazzarri che 'non poteva sapere) a Lazio-Genoa (con Mauri che gioca indisturbato, nonostante sia in attesa di giudizio da parte di quella stessa giustizia ordinaria che ha passato al setaccio la vita di Conte senza trovarvi un accidente), a un Inter-Lecce finita subito nel dimenticatoio.

Ed ora? Ora tocca al TNAS. Anche se più di un esperto di diritto sportivo ha fatto notare come, stanti le reali incongruenze della sentenza della Corte di Giustizia Federale, ci si dovrebbe attendere una riforma della sentenza stessa in senso assolutorio, non si può non essere scettici: soprattutto dopo le ripetute esternazioni di Abete e Petrucci a favore di chi ha giudicato sinora. E poi, in ogni caso, qualcosa deve per forza rimanere, se non altro per giustificare questo periodo di forzata inattività del tecnico, periodo che deve essere certificato come assolutamente legittimo. Ecco perché comincia a circolare, da ambienti solitamente ben informati (Piccioni, l'amico di Galdi per Calciopoli), la voce di un deferimento di Conte per le sue dichiarazioni in conferenza stampa (ma: e del deferimento di Sandulli, portatore di un comportamento inaccettabile per chi ricopriva quella posizione, che si sa?); se proprio De Giovanni non riuscisse a convincere i suoi due colleghi di Collegio che è Conte il vero mostro, ecco pronta una bella toppa, che salvi la faccia ai vari Palazzi, Abete e Petrucci, e chiuda la porta ad eventuali recriminazioni e pretese risarcitorie per i danni indebitamente procurati.
Ma chi potrà risarcire Antonio Conte del tormento procuratogli da questa allucinante vicenda? Accanto all'Antonio Conte mesto e corrucciato nel box così lontano dalla panchina, c'è un'altra immagine di Conte che non possiamo dimenticare: quella di Antonio Conte davanti alla Conte di Giustizia federale, una persona perbene dolorosamente incredula davanti a quanto gli veniva rovesciato addosso. Di ciò niente e nessuno potrà mai comunque risarcirlo a sufficienza.

 

twitter: carmenvanetti1