pinocchioOra basta. Chi scrive ha sempre cercato di argomentare ogni più piccola questione, ogni minima sfaccettatura riguardo a quanto accaduto dal 2006 ad oggi. Ma adesso è arrivata l’ora di posare i calamai e di dare battaglia. Una battaglia di consapevolezza, cui faccia seguito una ferrea presa di posizione. Le nuove intercettazioni che stanno nuovamente scuotendo il mondo del calcio hanno aperto una voragine nelle coscienze di coloro che hanno voluto far passare una vergognosa menzogna per indiscutibile verità. Le penne reazionarie si sono già mosse per dare una nuova inquadratura alla situazione e stanno cercando di far passare l'idea della revoca dello scudetto all'Inter come eventualità sufficiente per rimettere tutto a posto. Continuano a dire che esisteva un Sistema Moggi, che “quello che ha fatto la Juve è sotto gli occhi di tutti”, che “ci sono stati fatti gravissimi che hanno portato ad una giusta condanna”. No, le cose non stanno così e non accettiamo nemmeno la logica del tutti innocenti o tutti colpevoli.
I colpevoli ci sono, ma sono altri.

Non esiste nessuna intercettazione di Luciano Moggi con un arbitro, non esiste nessuna richiesta di favori da parte di questi a chicchessia, non esiste – e fatevene una ragione – nulla di nulla. Luciano Moggi è stato intercettato, pedinato, umiliato e fatto a pezzi in ogni modo possibile e la prova massima della sua colpevolezza è risultata essere una discussione sulle griglie con il designatore Bergamo. Consuetudine che, apprendiamo ora, era ben gradita a tutti e praticata da certuni con una malizia sconosciuta persino a chi è stato per anni additato come causa suprema di ogni male del pallone.
E non vi era neanche un sistema diffuso, il cosiddetto illecito strutturato. No signori, anche questa è una favola, un raccontino della buonanotte. E a svegliare i sognatori non siamo stati noi, partigiani dell’opinione, ma i testimoni del processo penale che si sta svolgendo a Napoli.
Come può essere credibile un’indagine indirizzata a senso unico, condotta con fretta e superficialità, incentrata sui riassunti della Gazzetta dello Sport, con inquirenti che non si sono neppure degnati di guardare le partite, di verificare se le loro accuse potevano essere dimostrate, che non hanno voluto investigare (“L’Inter non ci interessa” cfr. deposizione di Rosario Coppola), che hanno sbandierato ai quattro venti che “piaccia o non piaccia” non esistevano altre telefonate all’infuori di quelle dei dirigenti già sotto accusa?
Niente di tutto questo può essere credibile.

E smettiamola con le solite accuse, più volte smentite, persino dalle stesse sentenze sportive.
Le ammonizioni pilotate non esistono, è una fantasia costruita nella testa di Leonardo Meani nei suoi colloqui telefonici con i guardalinee Copelli e Puglisi, e immediatamente presa per buona: nell’anno oggetto di indagine la Juventus ne ha totalizzate 17, a livello delle altre grandi (le stesse dell’Inter), e ben sotto il primo posto dell’Atalanta. Dieci di queste sono, per giunta, arrivate da arbitri considerati estranei alla cosiddetta Cupola. In un’intercettazione il giornalista Tony Damascelli informa Luciano Moggi delle sanzioni comminate a Nastase, Petruzzi e Gamberini (quest’ultimo nemmeno in diffida) in Fiorentina-Bologna, ma Moggi, stupito, dimostra di non conoscere nemmeno chi fossero i diffidati della gara in questione. Mai, da nessuna parte, si sente o si legge Luciano Moggi chiedere esplicitamente di comminare sanzioni fraudolente. Ed è una leggenda anche la telefonata, imputata a Giraudo, nella quale si ascolta “Se l’arbitro è sveglio ci dimezza l’Udinese”. La conversazione infatti è successiva di un’ora all’incontro Udinese-Brescia dove fu, in maniera assolutamente corretta, espulso il friulano Jankulovski.
E chiariamolo una volta per tutte, i sorteggi erano regolari. Ogni sorteggio si svolgeva in presenza di un notaio e l’estrazione della pallina con il nome dell’arbitro era affidata ad un giornalista ogni volta diverso, che estraeva dopo che Pairetto aveva aperto la pallina contenente la partita da assegnare.
Questa circostanza è stata più volte spiegata, persino dall’Unione Stampa Sportiva (comunicato del 15 maggio 2006) e dalle sentenze sportive, che non prendono in considerazione questo ridicolo capo d’accusa per motivare la condanna. Persino Mazzei, in una delle nuove telefonate, cerca di convincere Facchetti che non c’è nulla da fare, anche se si vuole - come l’ex presidente interista desidererebbe - manipolarlo.
Moggi conosceva prima i nomi degli arbitri e dei guardalinee? Bugia. Bugia enorme. Veniva avvisato solo dopo l’avvenuta designazione, anche se in anticipo rispetto alle comunicazioni ufficiali agli organi di stampa. Ma c’era chi veniva a conoscenza delle stesse ben prima del DG juventino. Leonardo Meani, ad esempio, come dimostrano gli sms portati dalla difesa al processo di Napoli. E lo stesso Facchetti, che veniva informato, addirittura un giorno prima, su chi fossero i guardalinee di Inter-Juventus. Non di una partita qualsiasi…
E finiamola con la storia di Paparesta chiuso nello spogliatoio. La vicenda è stata innumerevoli volte chiarita dall’arbitro stesso e archiviata dalla Procura di Reggio Calabria.
Moggi poteva decidere le sorti degli arbitri? Altra gigantesca menzogna.
Moggi minaccia di far sospendere Paparesta che, invece, arbitra regolarmente già dalla giornata successiva. Anzi, è vero il contrario. Questo dichiara Pairetto di fronte al giudice Casoria: “Chi ha danneggiato la Juve e' tornato subito ad arbitrare, chi l'ha favorita viene sospeso per due mesi e mezzo”. Come nel caso di Racalbuto, dopo Roma-Juventus.
Moggi controllava De Santis?
Ridicolo. Nell’anno indagato è l’arbitro con cui la Juve ha ottenuto la media punti più bassa (1,4). Così il compianto Giorgio Tosatti in una telefonata Moggi del 20 aprile 2005: “Ormai gli arbitri ti pisciano addosso a te. Ieri l’ho detto, ho detto ieri in Federazione: avete fatto apposta a mandare De Santis perché vada in culo alla Juve”. E Moggi risponde: “Con quest’anno, tra Palermo, Parma e questa qui, ci costa tranquillamente sei punti. Ci ha creato mille problemi in questo campionato. Se noi perdiamo il campionato uno degli artefici è lui perché c’ha dato troppo contro”. Recentemente è stato poi dimostrato con chi in realtà intrattenesse rapporti amichevoli l’arbitro romano, con Giacinto Facchetti.
E prima che qualcuno obietti, parliamo subito delle schede, delle famosissime schede svizzere.
Lo sanno i signori che commentano il pallone che, in un processo penale, la prova si costituisce in dibattimento?
Questa, quindi, è una prova ancora tutta da dimostrare. Nella realtà, fino ad ora, sono emersi solo elementi ampiamente favorevoli alla difesa. La scheda a Paparesta è un falso, era di suo padre. Quelle di Cassarà e Gabriele (che mai avevano arbitrato la Juventus nelle stagioni 2004/05 e 2005/06), false pure quelle: assolti dalla giustizia ordinaria il 18 gennaio 2010. Gli schemini con le ricostruzioni delle chiamate effettuate sono stati definiti dal Maresciallo Di Laroni, che svolse queste indagini, “presumibili”, senza contare innumerevoli errori nell’assegnazione delle celle, con arbitri da tutt’altra parte al momento delle chiamate loro imputate.
A farsi benedire anche la scheda ritenuta essere in possesso di De Santis, come lo stesso arbitro dimostrerà al processo: “Mi viene attribuita una scheda svizzera tra il 7 gennaio e il 28 marzo ma essendo io uno degli organizzatori della cupola, mi sembra strano che potessi averla solo in quel periodo. Io non l’ho mai posseduta né usata, in quel periodo stavo facendo un corso come vicecommissario di polizia penitenziaria, lo frequentavo tutti i giorni e ho portato le prove. In molti degli orari in cui mi viene attribuito l'uso della scheda svizzera ero a scuola a frequentare il corso”.
E che dire del fatto che la Juventus, con i cosiddetti arbitri “svizzeri” avesse una media punti inferiore a quella di Milan (2,08 a fronte di una media campionato di 2,07) e di Inter (1,9 su media totale di 1,89). La Juventus infatti totalizzò una media di 1,88 punti, a fronte di una media complessiva ben superiore: 2,26!!!

Allora dove sarebbe questa famigerata Cupola? Da quali elementi si può desumere che Luciano Moggi e Antonio Giraudo - lasciati soli a se stessi, senza nessuna stampa e televisione amica e senza il supporto della proprietà - controllassero le sorti del campionato italiano? Una tale ricostruzione della realtà può esistere solo nelle menti di chi voleva colpire un unico bersaglio e nelle parole di chi questa teoria ha sostenuto ed alimentato.
Perché, ad esempio, non è mai stata posta attenzione sui comportamenti delle squadre milanesi? Infatti non sono in nessun modo paragonabili i comportamenti dei dirigenti di Inter e Milan con quelli addebitati a Luciano Moggi. Certo, ma in peggio. Proviamo a fare chiarezza.

Non esistono intercettazioni tra Luciano Moggi e gli arbitri. Ci sono invece fatti incontestabili riguardo i rapporti intrattenuti da alcuni di questi con le squadre meneghine. Sono stati dimostrati gli stretti rapporti tra Giacinto Facchetti e l’arbitro Nucini, fischietto all’epoca in attività e oggi misteriosamente scomparso dai salotti televisivi che era solito frequentare. Sono stati dimostrati i rapporti dell’ex presidente nerazzurro con Massimo De Santis, proprio lui, l’arbitro sbeffeggiato e calunniato da tutti come asservito al potere moggiano. Con il fischietto di Tivoli Facchetti parla di Walter Gagg, il funzionario FIFA, già accusato di aver svolto compiti “in nome e in funzione dell’Inter”.
Laddove Luciano Moggi confrontava griglie arbitrali, Giacinto Facchetti cerca direttamente di bypassarle, alterando il sorteggio prima di Inter-Juventus del 28 novembre 2004:

Facchetti: «No, lì non devono fare i sorteggi, ci devono...».
Mazzei: «Come si fa, Giacinto, purtroppo ci vuole fortuna».
Facchetti: «Ma dai...».
Mazzei: «Ti dico la verità, qui un sorteggio lo fa un giornalista, devono studiare una griglia e le possibilità sono più alte»

Questo Luciano Moggi non l’ha MAI fatto.
Luciano Moggi non conosceva le designazioni un giorno prima delle partite, Moggi non falsificava passaporti (cfr. Oriali condannato dalla giustizia ordinaria) con il fine di rendere disponibile un calciatore che, altrimenti, non avrebbe potuto essere schierato. Così si falsano realmente i campionati.
Moggi non incontrava gli arbitri prima delle partite (cfr. Moratti che va a salutare Bertini prima di Inter-Sampdoria) e nemmeno durante l’intervallo (cfr. squalifica di Facchetti dopo Chievo-Inter del 2002/03).
Mai, nessun dirigente della Juventus F.C. si è permesso di far pedinare e intercettare illegalmente un suo calciatore e, men che meno, dirigenti di altre squadre, arbitri o esponenti della Federcalcio. Mai la Juventus, con un'azienda nell’orbita della sua proprietà, ha sponsorizzato il campionato italiano e la Coppa Italia (cfr. sponsor TIM su entrambe le competizioni).
Questa è la realtà dei fatti.

E il Milan? Sono loro che parlano con quasi tutti gli arbitri e i guardalinee! Sono loro che hanno il potere. Un proprietario Presidente del Consiglio e un Presidente che, all’epoca dei fatti, era a capo della Lega Calcio e gran cerimoniere dei diritti televisivi. Tre televisioni nazionali al servizio della loro verità, tre televisioni con le quali dire, non dire, omettere, stravolgere. Giornali, radio, siti internet e una valanga di opinionisti al servizio della loro versione dei fatti.
Ma tanto era la Juve che tramava a palazzo. Allora mi spieghino queste intercettazioni (già comprese nelle informative, ma mai considerate…):

Mazzini a Moggi, riguardo le prossime elezioni in Lega: “Con Cellino, mi dice Galliani, non ci sono problemi perché lo fa votare Berlusconi”.

Ghirelli a Mazzini, sempre a proposito di elezioni: “Galliani deve muoversi tramite Berlusconi” per “influenzare AN e compagnia”.

Mazzini a Moggi: “Comunque stamani io ho chiamato Galliani, gli ho detto: senti, stammi bene a sentire, dico, guarda, muovi anche i tuoi padrini politici, perché, che Zamparini è di AN e che voti per Abete è veramente una cosa che non… non esiste al mondo”.

Bergamo a Mazzini: “Gigi (Pairetto, ndr) risponde alla Sampdoria, al Milan, all’Inter, al Verona, al Vicenza, al Palermo, a tutti quelli dove ci sono grandi magazzini e lui ha bisogno di lavorare”.

Come mai avrebbero potuto due solitari dirigenti avversari mettere nel sacco un impero tanto grande? Infatti non poterono, perché tutto esiste solo nella mente di un personaggio con la strana e peculiare carica di “addetto agli arbitri”. Quel Leonardo Meani, credibile quando dice di difendersi dalla Juve, semplice co.co.co da rinnegare quando intrattiene rapporti di ogni tipo con la quasi totalità della classe arbitrale.

Non ci credete? Cominciamo da Collina, per il quale venivano organizzati incontri per conto di Galliani, nel ristorante di proprietà di Meani. Per di più nel giorno di chiusura, “così non ci vede nessuno”. Meani che gli augura di essere presto designatore, così “non ti chiamo più”, che gli rammenta quando lo aiutava nelle scelte “mi ricordo di quando avevamo posto il veto a Pisacreta” e che chiamava “il capo, il grande capo” per relazionare di questa sua bellissima amicizia con l’arbitro viareggino.
No, queste cose Moggi non le faceva.

E che dire del guardalinee Puglisi, definito da Babini, altro guardalinee “Puglia, l’ultrà del Milan”. Prima del derby di Champions, Puglisi chiama l’amicone: “L’importante è che noi riusciamo a fargli il culo a ‘sti interisti”. Qualche giorno dopo Meani lo rincuora sul suo futuro: “Secondo te, perché so? Perché io sto spingendo da matti per te, no!”. Lo stesso Puglisi che chiede a Meani se farà Milan-Chievo e questi che gli risponde che era stato già scelto per Parma-Sampdoria, ma che farà cambiare designazione. Come in effetti accade. E si cautela pure, ridacchiando: “Tu comunque vedi di star zitto su questo cose che ti dico, eh?”. Per finire gli racconta come ha istruito Babini per Milan-Chievo: “Mercoledì da intelligente come vogliono quelli lì, nel dubbio da una parte vai su e dall’altra stai giù. Poi se le cose eclatanti che vedono tutti, nessuno dice niente eh!”.
E per lui spingeva anche con Galliani : “Puglisi però bisogna far tutto per metterlo in A e in B, eh?”. D’altra parte il Presidente aveva già capito tutto: “Ho saputo che lei ha già parlato con Puglisi”.

Ma avete mai sentito Moggi dire roba del genere?

Si era persino stupito l’arbitro Messina, che al telefono con il ristoratore lodigiano, chiede: “Oh, ma li hai designati te i guardalinee (Milan-Chievo, ndr) o loro?

E Copelli? Prima di Milan-Sampdoria viene tranquillizzato: “Hai visto che sto rilanciando e son troppo… sto rilanciando anche Messina”. Copelli è colui che il 13 maggio 2006, davanti a Borrelli, dichiara: “Se un assistente avesse voluto arbitrare un incontro del Milan non si doveva rivolgere ai designatori, ma a Meani”. Già, infatti, tante volte Meani glielo aveva detto direttamente: “Stai tranquillo, adesso ci penso io. Parlo con Galliani, lui lo sa Galliani, gli dico: senta, questo qui è un nostro uomo gli dico io”.

E poi le confidenze a Contini, altro guardalinee: “Io e te siamo amici, qualcosina in più me la puoi dare oh… ma va bene… il giocatore tu lo richiami invece di ammonirlo, cioè sono queste cose qui, eh…”.

Babini addirittura si spaventa. Dopo aver saputo che Meani aveva scelto i guardalinee di Milan-Chievo, lo chiama per dirgli: “Bisognerebbe rifiutarla quella partita lì, con questa designazione confermano che è tutta una porcheria [...] Ti ho detto che facciamo ridere tutta Italia con questa designazione”.

Indimenticabile la promessa a Rodomonti: T’ho fatto anche prendere sette e mezzo da Cecere […] Comunque, guarda che mi ha telefonato il mio presidente che ti dà l’indirizzo e ti manda a fare anche a te il trapianto dei capelli in Svizzera”.

E come dimenticarsi di Meani che chiede a Mazzei di mandare Ambrosino, che dice a Pasquale D’Addato (osservatore AIA di Bologna) di stare sereno per il suo avanzamento di carriera perché ne parlerà a Lanese: “Noi avremmo piacere che questo D’Addato possa fare il presidente regionale. Gli dico: il dottor Galliani vorrebbe fargli fare il presidente”.

Si potrebbe andare avanti per molte pagine, ma ci fermiamo qui, non senza ricordare l’ormai famoso avvertimento a Bergamo in vista della decisiva Milan-Juventus (partita prima della quale Meani regalò orologi alla terna arbitrale… “però a Trefoloni gli fai un bel discorsetto, perché sennò gli tagliamo la testa noi”) e gli amorosi sforzi di Galliani che si muove perché un dossier dell’arbitro Paparesta sulla sua attività lavorativa all’AssoBioDiesel arrivi nelle mani del sottosegretario Gianni Letta.

Allora smettiamola, una volta per tutte, di raccontarci favole. I poteri erano altri, ed erano molto forti. Ma è finalmente arrivato il momento di prenderne coscienza, tutti quanti. E’ inaccettabile che vogliano ancora ingannarci su quanto è successo. E’ inaccettabile che ci propongano soluzioni di comodo. Noi vogliamo giustizia, e che sia giustizia integrale. A partire dalla restituzione dei due scudetti ingiustamente sottratti, fino alla certezza di una dura pena a chi, veramente, operava con modalità assai poco cristalline. La nostra battaglia, ora, è questa.

 

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