Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.

Riprendiamo, occupandoci in due puntate di due condanne collegate tra loro, che contengono in pratica buona parte del campionario fin qui visto: dalla “dottrina Meani” alle telefonate di Biscardi, passando per le schede estere e dicerie varie, qui non manca quasi nulla. Iniziamo in modo cronologico affrontando per primo il capo d’accusa G, secondo il quale Luciano Moggi, “in qualità di istigatore, e il De Santis quale direttore di gara dell’incontro di calcio Fiorentina/Bologna (1/0), compivano atti fraudolenti consistiti per Bergamo e Pairetto nell’alterazione del sorteggio del direttore di gara e per De Santis nella dolosa ammonizione dei calciatori Petruzzi, Nastase, Gamberini, difensori del Bologna F.C., successivo avversario della Juventus nella XV giornata di andata, giocatori cioè, Petruzzi e Nastase, già diffidati e, conseguentemente, squalificati per cumulo di ammonizioni dal giudice sportivo per l’incontro del Bologna con la Juventus, atti dunque che, sia pur finalizzati ad influire sull’andamento della partita successiva, comunque alteravano l’andamento e la regolarità dell’incontro tra la squadra felsinea e quella toscana, in quanto la gara del Bologna risultava condizionata dalle tre ammonizioni inflitte dal direttore di gara”.

Si ipotizza, quindi, “turbativa dell’incontro tra Fiorentina e Bologna, svoltosi a Firenze il 5/12/04, e nel quale il Bologna avrebbe patito tre ammonizioni artificiose di giocatori, per minarne la capacità offensiva in successiva partita, indicata come quindicesima di andata, a disputarsi con la Juventus” (pag. 140 delle motivazioni della sentenza). Come per il capo B, siamo quindi nuovamente in presenza della “dottrina Meani” e del reato di pericolo usato dai giudici per condannare l’ex direttore e mago del mercato bianconero, nonostante, “così com’è emerso al dibattimento,
- le ammonizioni siano state la giusta dovuta risposta a comportamenti fallosi dei giocatori,
- e che questa delle ammonizioni mirate sia stato l’assillo, fatto spandere nell’ambiente del calcio, di per sé sospettoso, dalla dottrina Meani
”. (pag. 140)

Il tribunale infatti decide di condannare Luciano Moggi poiché “dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, che, tra l’altro, additano che Meani il rapporto telefonico con De Santis non lo disdegnava, si può effettivamente ricavare la prova che alla determinazione di ammonire giocatori, che già conosceva come inclini al fallo, De Santis potè essere mosso anche per suggestione di altri” (pag 140). Dunque, “le contrarie indicazioni emerse al dibattimento, ad avviso del tribunale, non riescono a scomporre il quadro probatorio offerto dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, pur tenuto in conto i limiti di affidabilità dei parlanti, e dello stesso frasario calcistico, mostrante indubbia predilezione per i termini polizieschi, in particolare per il termine killer” (pag. 140-141).

Premesso il fatto, che l'accusa di sorteggi truccati è caduta ovunque e che anche in questo caso non c’è traccia di schede svizzere, a puntellare la convinzione dei giudici ci sono alcune telefonate: nella ”8790 si intravedono le ammonizioni che poi avverranno sul campo, nel progressivo 5738 vi è riferimento, sia pure nelle parole di giornalista, a delitto perfetto del De Santis, che va valutato in collegamento con le parole adoperate in precedenza per telefono nel progressivo 2254 dallo stesso De Santis” (pag. 145).
A nulla sono valse quindi le argomentazioni portate dall'ex arbitro laziale durante la sua dichiarazione spontanea dell’11 gennaio 2011, né quelle che testimoniano di come il Bologna in quella gara fosse partito con sette diffidati, né “il discorso telefonico del dopo partita” (pag. 147) con i designatori arbitrali(?), né “le deficienze dell’investigatore maggiore Auricchio fatte emergere dai difensori al dibattimento (vedi verbali udienze 23/3/10 e 30/3/10) con riferimento, tra altre, anche specificamente a questa partita” (pag. 147).

Con tale tipologia di reato, di pericolo, per condannare Moggi, ai giudici sono bastate, dunque, le seguenti telefonate:
- la 8790 del 3/12/04, contenente un'intercettazione in ambientale, quella dioh, la peggiore che ti poteva toccare, eh!”, nella quale si possono ascoltare una serie di frasi sconnesse dette da Moggi al suo interlocutore, il quale, tramite gli incroci pasticciati del maresciallo Di Laroni, è stato identificato in Racalbuto nonostante la conversazione finisca con il famoso “Ciao Albè” trasformato dagli inquirenti in un più neutrale e vantaggioso “Ciao bello” e nella sentenza in “ciao, -ionc.-, ciao, ciao, ciao”. Sono risultate rilevanti, quindi, le seguente frasi dette però a parecchia distanza l’una dall’altra, evidentemente perché nel mezzo parlava il suo interlocutore: “quello che mi serve è... è... è Fiorentina-Bologna, in modo particolare...apposta, il minimo... eh... quello... quello mi serve in particolare e poi... mi serve... il Milan, di avanzare... uhm... nelle... nelle ammonizioni, per fare le diffide, insomma”. Si può comprendere al meglio la confusione del discorso, ascoltando direttamente la telefonata.

- la 2254 del 3/12/04, tra l’arbitro De Santis e un uomo, di cui non si capisce assolutamente il contesto (qui il testo, perché ognuno possa farsi la sua opinione al riguardo) e che i giudici non chiariscono in alcun modo, al di là dell’unica contestualizzazione della telefonata in tutta la parte riguardante il capo G, ovvero quella che abbiamo riportato qualche riga più sopra.
- la 5738 del 5/12/04, tra Moggi ed il giornalista Tony Damascelli, in cui quest’ultimo, tra il disinteresse generale del suo interlocutore, lo mette al corrente del fatto che “De Santis ha fatto il delitto perfetto”, ovvero “i tre difensori del Bologna fuori, squalificati tutti e tre” in vista della sfida contro la Juventus (oltretutto sbagliando, poiché soltanto due, Petruzzi e Nastase, avrebbero saltato la gara successiva). Dopo la richiesta di Moggi, che asseconda il giornalista, su chi fossero questi giocatori, Damascelli domanda: “Non male, no?" ricevendo come risposta un inequivocabilmente disinteressato “E va beh, aoh, meno male, che ti devo dire?" Emerge, dunque, chiaramente il completo disinteresse dell’ex-direttore per la questione, non al corrente di nulla, in aperta contraddizione con l'accusa di voler frodare in quella gara.

Ciò che salta agli occhi in questo capo d'imputazione è che non si capisce, ed infatti le motivazioni non lo dicono in alcun modo, come e dove venga trasmesso il presunto messaggio deliquenziale da Moggi a De Santis, ovvero dove si concretizzi "la prova che alla determinazione di ammonire giocatori, che già conosceva inclini al fallo, De Santis potè essere mosso anche per suggestione di altri" (pag. 140), dato che per questo periodo non vengono attribuite schede svizzere a De Santis e non ci sono contatti in chiaro fra loro due, né fra nessun altro, con un contenuto potenzialmente idoneo a configurarsi tale. I giudici, quindi, non sono riusciti a collegare i confusi dialoghi dell’ex direttore bianconero con un certo “Albè”, espressivi, ad avviso del tribunale, di un disegno criminoso, con l’arbitro della gara, Massimo De Santis, e la sua presunta determinazione a commettere una frode in quella partita. E nulla può valere che un giornalista abbia, usando un "frasario calcistico, mostrante indubbia predilezione per i termini polizieschi, in particolare il termine 'killer'" (pag. 141), espresso la convinzione che l'arbitro in quella partita avesse fatto "il delitto perfetto". Infine, vogliamo mettere in evidenza come le motivazioni per questo capo d'accusa siano molto poco esplicite e chiare, un po' caotiche e difficili da interpretare.

Nella seconda parte analizzeremo invece il capo I, relativo a Bologna-Juventus, partita apparentemente talmente temuta dall’ex direttore generale bianconero vincitore di importanti competizioni un po' ovunque, in Europa e nel mondo, da dover mettere in atto, ad avviso del tribunale, un piano diabolico e illegale per togliere di mezzo dalla sfida i temutissimi difensori felsinei Petruzzi e Nastase e gravare della condizione di diffidato l’altro difensore, Gamberini, rendendolo così innocuo, oltre a, come vedremo, assicurarsi la benevolenza dell'arbitro stesso della gara.


Puntate precedenti:
SPECIALE CALCIOPOLI: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina
SPECIALE CALCIOPOLI: Z, La Roma-Juventus dei "traditori"
SPECIALE CALCIOPOLI: O, La partita di Abeijon
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