togaUna delle deposizioni più attese al processo di Napoli, da almeno due anni a questa parte, era quella di Maurizio Capobianco, un ex dipendente della Juventus che nel settembre 2005 se ne andò col dente avvelenato, tanto da intentare causa davanti al Tribunale del Lavoro di Torino. Molto scalpore, nella primavera del 2007, destò un'intervista nella quale si diceva in grado di svelare, finalmente, importanti retroscena sui fantomatici metodi moggiani di corruzione arbitrale, fino ad allora mai provati nonostante la "macchina spropositata" delle intercettazioni. Il 30 giugno scorso, in un'aula di Napoli, per Capobianco è giunto il momento della verità.

“Così Moggi pagava gli arbitri”. O forse no.

"Così Moggi pagava gli arbitri" è il titolo di un articolo pubblicato da La Repubblica in data 11 maggio 2007 a firma di Marco Mensurati che riportava un’intervista al teste, responsabile del Back Office della Juventus F.C. dal 1999 al 2005. Chi si ricorda di quell'intervista avrà sicuramente presente il passaggio in cui Capobianco si riservava di fare in un secondo tempo il nome degli arbitri a cui erano destinati dei beni di ingente valore.
Finalmente arriva il momento di spiegarlo nella sede deputata: il tribunale. E come ormai d'abitudine in questa storia, quando si viene al dunque la montagna partorisce il topolino.
Infatti, le rivelazioni di Capobianco si sono limitate alla descrizione del contenuto di una busta che, nei primi mesi del 2005, la signora Gastaldo, all’epoca dirigente amministrativo della società bianconera, gli avrebbe consegnato con la richiesta di tenerla fuori dall’azienda. Il teste ha raccontato di aver custodito la busta presso la sua abitazione, anche perché non gli fu mai chiesto di renderla. All’interno della busta avrebbe rinvenuto un elenco di assegnatari di sconti fino al 50% per autovetture Fiat, tra i quali figurerebbero le mogli di Pairetto e di Trentalange, che avrebbero acquistato un'autovettura nel '95. Curioso: si tratta, in entrambi i casi, di fischietti torinesi, che in quanto tali, ricordiamo, erano preclusi dalla possibilità di dirigere partite della Juve (e ovviamente del Toro). Incalzato dall’avvocato Trofino, il teste è stato costretto a riconoscere che tale sconto veniva applicato a numerose persone che gravitavano nell'orbita Juve, ammettendo di averne usufruito lui stesso in almeno due occasioni nelle quali ha acquistato un’autovettura scontata per poi rivenderla immediatamente e trarne profitto.
Quanto al discorso dei beni di valore dati in dono agli arbitri, che è poi l'ipotesi per la quale erano state preannunciate rivelazioni clamorose, Capobianco ha raccontato di aver rinvenuto, sempre all’interno della medesima busta, un elenco di orologi acquistati e destinati ai giocatori, staff tecnico dirigenti, alcuni giornalisti ed alcuni procuratori. Questo è quanto, di arbitri non vi sarebbe nemmeno l'ombra. Quali siano i beni destinati agli arbitri, e quali siano gli arbitri beneficiari degli stessi, nemmeno in quest’aula di tribunale si è potuto sapere. A questo punto, si aspetta con ansia un articolo di Repubblica per chiarire ai suoi lettori i dettagli anticipati con tanta enfasi due anni fa.


Ancora con la storia della GEA

"La Gea e la Juve sono la stessa cosa", così Capobianco, in barba alle sentenze di un tribunale della Repubblica, ha poi voluto definire il rapporto che intercorreva tra la società di procuratori e la società bianconera. Volete sapere in base a quali fatti ha fatto tale affermazione? Semplice, per aver a volte visto Moggi senior in compagnia del figlio. Incalzato dai legali della difesa, ha poi precisato di averlo visto, Moggi senior, anche in compagnia di altri procuratori, non necessariamente della GEA. D'altronde, è normale che un dirigente calcistico abbia a che fare con procuratori di giocatori, o no? Significativo il commento di Teresa Casoria: “Il figlio stava spesso dove stava il padre ed è pacifico che fossero due entità diverse”. Il presidente del tribunale anche in questa circostanza ha dato l’impressione di avere compreso che questo processo è basato sulle ”chiacchiere”. La Morescanti (difesa Fabiani) ha poi ricordato che il tribunale di Messina, in seguito ad una deposizione di Capobianco, nella quale aveva riferito di un regalo di autovettura a un parente di Fabiani, si è pronunciato decretando l'archiviazione del relativo procedimento.

Insomma, nemmeno con la deposizione di Capobianco i tifosi bianconeri sono riusciti a comprendere il motivo delle sentenze di tre anni fa. Ultimamente Oliviero Beha, mai tenero in passato con la Triade, ha invitato i suoi colleghi a raccontare ciò che sta emergendo realmente in questo processo, mentre Alessandro Gilioli de L’Espresso ha pubblicato un articolo nel quale se la prende coi giudici rei di non essere in sintonia con l'atmosfera colpevolista del 2006. Chi può aver timore che tra qualche mese il diavolo del calcio italiano possa uscire pulito anche da quest’aula di tribunale? Qualche sospetto ce l’ho…