prioreschi morescanti“Silvia, sei uno splendore!”. Ambrosino, l’assistente tirato in ballo per uno zero in Reggina-Messina dove un niente e prendeva 10, ha la fortuna sfortuna di essere sempre il primo all’appello del Presidente Casoria. Come se fosse tutta colpa sua. Però anche l’occhio lungo. E buon gusto.
Silvia Morescanti ha gonna corta e vezzosi bottoni blu. E’ la sua giornata. L’avvocatessa delle mille deleghe strada facendo, da Fabiani a Bergamo a Racalbuto (e dovesse, il cielo, secondo me pure Auricchio non disprezzerebbe), è alla battuta. Di solito, non caccia mai a vuoto. La sua giornata. Lo sanno tutti. Quel che conta, lo sa lei. In pausa si pavoneggia felice. Sa forse di essere bella, nessuna donna lo sa alla fin fine, ma di sicuro sa di avere una difesa. Una primavera di burro d’acciaio.
Nel contro interrogatorio più tardi farà una gaffe incredibile con il teste ma la coprirò non scrivendone come si dovrebbe. Aveva gli occhi troppo felici quella mattina e non sarò certo io a smorzare lo sguardo contento di una giovane donna di Roma. Dopo De Santis, magari ha ritrovato l’amore. Delle donne felici in fondo si dice sempre così. E allora per quanto brilli l'avrà trovato per forza. In pausa guardava l'avvocato che le aveva fregato il turno della replica e gli diceva, voi uomini siete tutti falsi e bugiardi, solo come lo dice una donna innamorata. Non dell'avvocato ovviamente. Mi sa di uno dei moggiani ambulanti. Antonello Angelini. L'altra volta all'udienza c'era anche lui. Per lei un parlargli fitto all'orecchio, per lui c'eran pacche sulle spalle dagli altri maschi quando lei se ne andava. Auricchio invece è rimasto. In mezzo alla gente in aula, ai detriti di dove è passato. Mi sovviene una cosa che non c’entra in quell’aula, perché le carogne che ho visto passare nella mia vita chiedendo pazienza m’hanno insegnato che la Storia non la scrivono al chiuso. Specie, come nel calcio, se si è fatta all’aperto. Quella di Johnny Dorelli. La cosa della nullità nell’immensità. Per fortuna che l’attualità salva l’uomo dalla retorica. C’è Facchetti ovunque, persino sulle sedie. E sì che ci sono ben altre cose da ricordare.
“Se ne sono lette, su Giacinto Facchetti. Che lo chiamavano Cippelletti, che già ai suoi tempi il danaro nel calcio stava circolando “in dosi venefiche” ma il povero Facchetti non se n’era accorto, non lo sapeva, non poteva saperlo, non voleva, che era una statua, non aveva malizia tecnica, che gli mancava ogni furbizia dialettica, che era l’immagine del calcio generoso, che lo chiamavano il gigante buono, che era considerato un corazziere messo lì per parlare con l’Uefa, che aveva infatti quel bel nome di vegetale, che era stato persino registrato sul cellulare di qualcuno come “Olmo Facchetti”, perché lui era un olmo piantato sulla strada tra Crema e Treviglio, e giù intanto un altro bell’epiteto da vegetale, poi che sapeva prendere a spallate il tempo, un bergamasco senza montagna e senza accento, però con le qualità morali dei bergamaschi, e via con un’altra serie di stronzate del genere. E fin qui, pazienza. Finché non son arrivati a scrivere che “aveva una spiccata simpatia per la categoria dei giornalisti”. Ma se lo facevano davvero così fesso, questo a Facchetti glielo dovevano dire sul muso”. Andrea Marcenaro, Il Foglio, 06/09/06.
Sto nel 2006. Auricchio no.
In pausa, sta tra gli avvocati. A prender da loro una mentina per, magari, farsi tornare la voce. A far no no con la testa. Rilassato, s’è tolto gli occhiali. Tranquilli. Non ha riacquistato la vista. La parola alla Morescanti ed il colonnello per non perdersi il bello li rimette d’istinto. Tacendo.
Bergamo? Nessuna telefonata di Bergamo ad un arbitro con l’ordine di servizio per una gara. Come li pilotasse non si sa. Di certo non al telefono, seppur a certe distanze a voce difficilmente riesca. Ma non vuol dire. Ci sono persone che sentono voci. Andreotti direbbe che se non stanno truccando la Serie A del 2005 stan risanando il bilancio delle Ferrovie dello Stato.
Fabiani? Il sergente Garcia della Cupola. Il luogotenente. Su di un numero di telefonate tali da pareggiare il Pin di Pechino, sul vice Cupola appena due squilli del Telefono amico. In cui, di lui, se ne parla. Male, però se ne parla. “Non mi piace, non mi piace, non mi piace”. Una associazione matrigna, poco tenera coi suoi viceré. Ma si sa, il crimine non paga, figurarsi se fa i complimenti.
La Casoria sorride. Potendo, chioserebbe questi scambi intra moenia di questa Cupola à la Fight Club come l’altra volta quelli dell’altro vice, il De Santis. Per esclusione: “figlio di puttana, sicuro c’è”.
Esame di sorteggio. Morescanti domanda. Fa il poliziotto buono e il poliziotto cattivo. La prima domanda di solito è facile. La seconda, mai. Verificato se il sorteggio era pubblico? Sì. “Controllata la casualità d’estrazione se diminuisce il numero griglie?”. Eh? Verificato se certe squadre di prima fascia stavano sempre nella griglia della prima fascia? Sempre! “Sempre?”. “Sempre non lo posso dire”. Ecco. Le grandi sempre in prima comunque. “Non in senso assoluto”. Verificato? “Non sempre”. Gli assoluti devono essere vietati ai carabinieri. Dev’esserci quasi sempre una circolare in tal senso. Un sorteggio è fatto di due palle, dei nomi e un notaio. Arbitri. Prendiamo due a caso. Toh. De Santis e Racalbuto ad esempio. Erano in prima griglia? “Abbiamo acquisito i dati”. “Lo sa o non lo sa?”. Auricchio nel dubbio se lo sappia o non lo sappia la butta in politica. Esclude il sempre. Morescanti ha studiato. Conosce l’opinione di Auricchio riguardo i notai. Lo mette a suo agio. Chiede al graduato di rispiegarci perché la presenza dei notai al sorteggio non poteva dare irregolarità dovendo dare solo regolarità. Una cosa esclude l’altra, se non lo sapete. Auricchio risponde comodo e Morescanti allora lo riporta, lui e noi tutti, alla dura realtà. Al cuore di ogni sorteggio che Domineddio mandi in terra. Al cuore, Auricchio. Due palle. Chi e cosa estraeva per primo. Auricchio quasi si scusa. Sembra un po’ Signorini quando gli chiedon le fonti. “Riporto un de relato”. Porta chi ti pare. “Due urne, una per le partite, l’altra per gli arbitri. Pairetto sorteggiava gli incontri, Manfredi Martino i direttori di gara”. Sicuro? Auricchio ha una parola sola. “Pairetto le gare, Bergamo gli arbitri”. E’ il momento della domanda per la lode. Quando venivano scelti gli assistenti? “Quando? Li sceglieva il vice Commissario Can”. Quando, non Mazzei. “Le scelte fatte da Mazzei venivano poi rivisitate in un altro momento. Successivo al sorteggio”. Morescanti che come ogni donna sicura di sé non si fida degli assoluti di un uomo verifica. “ Perché dite questo? Avete indagato?”. Auricchio ha la pezza d’appoggio. “Dopo il sorteggio girava un documento con gli arbitri e non gli assistenti”. Morescanti quella carta canta la chiama deduzione. Auricchio? “Lo deduco”. Ma Lei è sicuro che quelli che estraevano erano sempre o sempre non in senso assoluto se preferisce i designatori? “ L’estrazione della seconda pallina per prassi veniva fatta da un giornalista. Solo in quelle volte che ci stavamo noi, no”. Sempre cioè quasi sempre? Solo due. Insomma. Come volevasi dimostrare. Il sorteggio era truccato mediante le sfere usate e riconoscibili al tatto? In Italia si sa che sono quasi sempre e non in senso assoluto i giornalisti a romper le palle.

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