piagnoni
Tutto nacque dalla ricezione di una singolare e-mail...

Spett.le redazione di ju29ro.com, sono uno psicoterapeuta, analista di scuola adleriana. Non capisco nulla di calcio, ma mi rivolgo a voi su suggerimento di un amico, tifoso juventino di vecchia data, al fine di sottoporre alla vostra attenzione un fenomeno a mio avviso molto preoccupante: ultimamente sempre più persone si sottopongono alla mia terapia manifestando, in prima battuta, problematiche che sembrano appartenere alla castistica tradizionale. Ma una volta iniziata l'analisi, bastano poche sedute per intuire che i problemi sono strettamente connessi al tifo calcistico.
Per evitare la tentazione di ricorrere ai complicati arzigogoli del gergo professionale, spesso ahimè oscuro, vi sottopongo la trascrizione di una seduta che costituisce un esempio tipico tra quelli, numerosi, che mi sono capitati ultimamente. Ovviamente, per limitare il rischio di venire accusato di violazione del segreto professionale, riporto solo le parti salienti:

D.
R. Non è così. Non mi sono fatto l'amante perché la mia amante era la Juve e di colpo mi ha lasciato. Non è così banale. Voglio dire: ovviamente mi sono dato questa spiegazione. Ma non è che l'ho rifiutata per non banalizzarmi. Non ho paura di essere banale. E' che proprio non è così.
D.
R. Si sbaglia. Ma non è così semplice spiegarlo per chi non è un appassionato. Comunque no, la Juventus non è una scelta banale. Ora, non credo sia importante che le spieghi come e perché sono diventato juventino. Non sono nemmeno quel genere di persona che si fa tutte queste domande.
D.
R. Sono diplomato in ragioneria.
D.
R. A mia moglie il calcio non piace. Però, voglio dire, le piaceva la domenica del calcio. Veniva sempre qualche amico e allora portava il caffè, i biscotti, le birre, insomma faceva la padrona di casa. Questo le piaceva. E, sì, ok, le davano fastidio le sigarette e le bestemmie. Non che l'abbia mai fatto notare agli altri. Ma...insomma, come si dice, era il gioco delle parti. Credo che le piacesse.
D.
R. Credo di conoscere mia moglie meglio di lei, se me lo consente.
D.
R. Va tutto come prima. Tranne la domenica. O, meglio, non va tutto come prima perché manca la domenica. Mia moglie non ha bisogno di essere portata al lago o alle mostre d'arte. Anche a lei bastava la partita. E poi c'è nostro figlio. Un libro prima di andare a dormire, un film alla tv, cose normali.
D.
R. La scusa è che vado a vedere la partita al bar. Lei non controlla, si figuri, non è il tipo di persona che si umilia a telefonare al bar per chiedere del marito, o, peggio ancora, venire a controllare. Mio figlio non lo porto con la scusa che si fuma e gli fa male.
D.
R. Al White Rabbit si può fumare. Le ripeto: dico a mia moglie dove vado anche se non ci vado, tanto lei non controlla.
D.
R. Ovviamente la stimo per questa sua qualità, questa dignità, riservatezza.
D.
R. Non l'ho mai vista in questo modo. Il tradimento è peggiore quando abusa dei pregi di chi tradisci, e non dei suoi difetti. E' una bella frase. Ma, ancora, non sono quel genere di persona che fa di questi ragionamenti. Mi sentivo in colpa per il tradimento, ma non per questo.
D.
R. Per il semplice fatto di tradirla. Ma penso che le sto risparmiando qualcosa di peggiore. Non mi sento un eroe, un benefattore, questo no. Ma bisogna essere realisti: anche per mio figlio sarebbe terribile passare una domenica con me. Non posso forzarmi in nessun modo.
D.
R. E' la figlia del mio direttore. Non è giovane, non è attraente, nemmeno simpatica. E' una rivincita, così dico io. Da juventino, non da sottoposto. Perché è interista, il direttore, è anche amico di Grande Stevens.
D.
R. La storia è lunga. In realtà non capisco cosa lei voglia capire, se di calcio non sa nulla.
D.
R. Ovviamente guardo la partita, quando sto con lei. Ma solo se capita il pomeriggio. Se è di sera, sto a casa, e vado a dormire presto. La guardo perché la devo guardare, è così. Poi sto un paio d'ore con lei.
D.
R. Raramente altre volte. Non so perché le vada bene così.
D.
R. Certo, potrei perdere il lavoro e la moglie. So che non è nemmeno poi così difficile, voglio dire so perfettamente che prima o poi si stancherà, vorrà di più, non glielo darò.
D.
R. Non è che la Juve sia più importante di mia moglie o del mio lavoro. Cioè sì è più importante del mio lavoro, ma col mio lavoro mantengo la mia famiglia, non sono certo un irresponsabile. Non è che siccome ho perso la Juve, allora posso perdere anche lavoro e famiglia. Mi comporto così, non guardo al futuro. Ho scelto la routine più tollerabile, io penso.
D.
R. Quando finirà, chiederò scusa, penso. Tenterò di farmi perdonare.
D.
R. E' banale lo so. E infantile, anche. Nemmeno a lei piace il calcio. Io guardo la partita e le chiedo cosa pensa suo padre di calcio, la forzo a chiedergli domande di calcio, fingendo stima per lui, ovvio. Ascolto, mi riempio di rabbia, poi in genere scopiamo.
D.
R. Non penso che lo ucciderei. Voglio dire no. Sono cattolico.
D.
R. Non ho niente da imparare per quanto riguarda la morale, non mi piace questo suo pontificare sull'onestà.
D.
R. Credo di conoscere mia moglie meglio di lei.

Spett.li ju29ri, vi assicuro che il soggetto in questione non è l'unico. Ormai, almeno il 30% della mia clientela è composto da tifosi juventini adulti affetti da problemi connessi alle recenti vicissitudini della squadra del cuore. In molti poi è ricorrente il ricordo di una stagione in particolare, quella in cui giocava quel giocatore brasiliano, Rolando (sic), o qualcosa del genere. Ricordo che ci furono polemiche furiose, che interessarono anche le più alte cariche dello stato.
Il mio amico juventino, colpito dal mio stato di stress lavorativo e reso edotto sulla questione, mi ha subito consigliato di interpellarvi. Mi ha detto che voi avete "la memoria lunga" e che secondo lui ormai siete rimasti "gli unici a costituire una risposta ai problemi dei miei pazienti". E quindi anche dei miei.
In tutta sincerità, non sono riuscito a capire cosa intendesse in concreto, ma dato che non so più dove più sbattere la testa, vi sollecito ad intervenire.

Con stima,
Dott. Italo S., psicoterapeuta di scuola adleriana

 
Gentile amico adleriano, la ringraziamo per la fiducia e siamo lieti di soddisfare la sua richiesta.
In effetti, il suo amico l'ha consigliata bene, si vede che tiene a lei. E ristabilire i fatti riguardo alla storia della Juve è proprio la nostra missione.
Dica ai suoi pazienti affetti dalla sindrome da paradosso di Kefeo (questo è il nome con cui riteniamo si possa correttamente identificarla) di seguire con attenzione la nostra inchiesta dal titolo "Il campionato dei piagnoni".
A partire da domani, infatti, con cadenza settimanale, ripercorreremo tutta la stagione 1997-98, quella dello scudetto n. 25, concentrandoci ovviamente sul duello fra le contendenti al titolo.
Dopo 3 articoli a carattere introduttivo sui movimenti di mercato e sulla caratura delle due squadre, racconteremo le partite, giornata per giornata, così come le nostre emozioni le hanno impresse nella memoria juventina. E quando la memoria falla, così come le cronache del tempo ce le hanno consegnate.
E scopriremo così, alla fine, che la maggior parte delle cose che si sentono in giro su quell'annata, più che frutto di analisi obiettive, sono da attribuirsi alla sovraeccitata fantasia di detrattori letteralmente ossessionati dalla Juve.
O forse, più semplicemente, di piagnoni patentati.

Grati dell'attenzione,
redazione ju29ro
                                                                                                                                                                               
NOTA: domani il primo articolo del dossier "Il campionato dei piagnoni".