CHRISTIAN ROCCA /1
Un altro esemplare articolo volto a mettere in risalto le assurdità di Calciopoli. E' una perla di vero giornalismo di Christian Rocca il quale esprime tutto il suo dissenso con arguzia ed equilibrio.
Un articolo che è un capolavoro di sintesi: basterebbe leggere questo per capire che cosa è stato realmente il cosiddetto processo “farsopoli”.
Facciamo notare che l'articolo è datato 18 luglio 2006, quindi successivo alla prima sentenza ma precedente la seconda. Questo non cambia comunque molto perchè come stiamo mettendo in evidenza, tra la prima e la seconda sentenza l'unica differenza di rilievo consiste nell'assurda spiegazione che vorrebbe eliminare il concetto di somma sostituendolo con il papocchio dialettico - giuridico degli "ineliminabili tasselli strumentali alla realizzazione" ...... della somma!
Per la Corte del calcio tanti non illeciti fanno una temperie illecita. (La Juve è colpevole, anche se è innocente, per il semplice fatto che è colpevole: Perchè? Perchè è l'opinione di tutti) da "Il Foglio" articolo di Christian Rocca:
Al Bar dello Sport sotto casa non avrebbero saputo fare di meglio. La Juventus è stata condannata per non aver commesso il fatto, cioè per non aver comprato o aggiustato o taroccato nessuna partita, nemmeno una (pagina 76). La Caf guidata da Cesare Ruperto ha spiegato che nel calcio italiano non c’era nessuna cupola (pag. 74), che il sistema Moggi è un’invenzione della Gazzetta dello sport (pag. 74), che i 50 sorteggi non erano truccati (pag. 83), che la balla delle ammonizioni mirate per favorire preventivamente la Juventus era, appunto, una balla grande così (pag. 103). Cinque, praticamente sei, arbitri su otto sono stati assolti e i due condannati non sono stati puniti per le partite della Juventus. Ma se è così, ed è così, come mai la Juventus e le altre (tranne il Milan) sono state condannate a uno, due o forse quattro anni di B? La tesi colpevolista è questa: i rapporti stretti tra i dirigenti della Juventus e i designatori arbitrali, anzi uno solo: Paolo Bergamo, hanno creato “un’atmosfera inquinata, una insana temperie avvolgente il campionato di serie A” per cui è stata lesa la terzietà, l’autonomia e l’indipendenza del settore arbitrale.
Come e dove e con quali arbitri, per i giudici non è importante, perché si tratta di una specie di concorso esterno in campionato di calcio, per cui è sufficiente provare il rapporto di contiguità tra Moggi e un designatore per essere certi che gli arbitri fossero comunque condizionati, anche se non ce n’è prova di alcun tipo. Il problema è che questo reato nel codice sportivo non esiste. Tra l’altro questa contiguità di rapporti tra Moggi e i designatori, più che dalle innocue telefonate intercettate si evince da quelle che non conosciamo, cioè dal fatto che Moggi avesse consegnato a Paolo Bergamo una scheda sim svizzera non intercettabile e che i due si vedessero regolarmente a cena. Un reato che non c’è, basato su telefonate e cene di cui nessuno conosce il contenuto, accertato in un processo che ha saltato a pie’ pari il dibattimento e che è cominciato direttamente con la formulazione delle richieste da parte del procuratore come in Urss. Per il resto la sentenza della Caf ha smontato le principali accuse avanzate dalla procura federale e dalle varie gazzette – che a sua volta aveva rigettato lo schema Borrelli della Cupola Juve contrapposta a quella Milan. Ne ha accettato però lo schema accusatorio, che è questo: gli atti commessi dai dirigenti della Juve “di per sé” costituiscono comportamenti contrari a principi di lealtà (art. 1). Una violazione del codice sportivo innegabile sulla base di quelle telefonate, ma che non comporta l’automatica retrocessione a una serie inferiore delle squadre, proprio perché sono atti che, “di per sé”, non configurano alcun illecito sportivo ex articolo 6, cioè non costituiscono il tentativo di alterare lo svolgimento o il risultato di una gara. L’accusa principe quindi è caduta, non c’è, non esiste, è pura Curva Sud, come sa chiunque capisca un pizzico di calcio e abbia seguito il campionato sotto inchiesta senza la sciarpa dell’Inter o della Roma intorno al collo. Eppure la corte ha condannato ugualmente la Juventus, trasformando le tre violazioni dell’articolo 1 in illecito sportivo ex art. 6 (quello che comporta la retrocessione). Più che un principio giuridico, sembra abbiano applicato la regola in vigore nei campi dell’oratorio, dove ogni tre corner viene assegnato un calcio di rigore. Three strikes and you’re out, come se tre reati di diffamazione – per il semplice fatto di essere tre – possano trasformarsi in un bell’omicidio. Leggete con attenzione che cosa dice la sentenza: “La Procura federale, con riferimento all’addebito contestato alle persone indicate nel capo di incolpazione in esame, ha individuato talune condotte, costituenti di per sé comportamenti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva (art.1), ed ha ritenuto che l’insieme di tali condotte sia stato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, e quindi sia stato violato l’art. 6, integrando la pluralità delle condotte l’attività diretta a procurare alla Juventus un vantaggio in classifica”.
Quindi, comportamenti di per sé non configuranti l’illecito sportivo diventano arbitrariamente (è il caso di dire) un illecito sportivo perché ripetuti nel tempo. La Caf sostiene che questi comportamenti sleali abbiano procurato un vantaggio in classifica alla Juventus. Ora, come è noto, in natura esistono soltanto due modi per ottenere vantaggi in classifica: chiedere e ricevere aiuti arbitrali nelle proprie partite, colpire i diretti avversari nelle loro gare. La sentenza dice che non c’è stata interferenza su nessun match della Juventus, né in quelli delle dirette avversarie.
L’articolo 6 è molto chiaro e dice che costituisce illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. Non c’è traccia del principio secondo cui più violazioni dell’articolo 1 costituiscano una violazione dell’articolo 6. La corte nega che la Juve abbia compiuto atti diretti ad “alterare lo svolgimento di una gara” e nega anche che la squadra campione d’Italia abbia compiuto atti diretti ad “alterare il risultato di una gara”. Condanna la Juve, invece, per aver compiuto atti volti a ottenere “vantaggi di classifica”. Resta da capire quale possa essere il vantaggio in classifica scaturito da altro che l’aver truccato le partite.
La Corte non sa spiegarlo. Si limita a dire che “è concettualmente ammissibile l’assicurazione di un vantaggio in classifica che prescinda dall’alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara”. Concettualmente.
“Infatti, se di certo, la posizione in classifica di ciascuna squadra è la risultante aritmetica della somma dei punti conseguiti sul campo, è anche vero che la classifica nel suo complesso può essere influenzata da condizionamenti, che, a prescindere dal risultato delle singole gare, tuttavia finiscono per determinare il prevalere di una squadra rispetto alle altre”.
Punto. Sono colpevoli, anche se sono innocenti, per il semplice fatto che sono colpevoli. Il capolavoro, più da Paolo Liguori che da Cesare Ruperto, si trova a pagina 79: “Nella valutazione del materiale probatorio la Commissione (la Caf, ndr) si limiterà ad indicare quegli elementi di sicura valenza, che non si prestano ad interpretazioni equivoche, perché già solo dall’analisi di taluni fatti incontrovertibili emerge a chiare lettere ciò che era nella opinione di tutti coloro che gravitavano nel mondo del calcio, e cioè il condizionamento del settore arbitrale da parte della dirigenza della Juventus”. Avete letto bene: “L’opinione di tutti coloro che gravitavano nel mondo del calcio”. Chissà, magari gravitavano al Bar dello Sport.
Manca solo “arbitro cornuto”, ma c’è ancora l’Appello.