RecobaEstate 1997: per 7 miliardi di lire l’Inter acquista dal Nacional di Montevideo il calciatore uruguaiano Alvaro Recoba, messosi in mostra in patria grazie alla sorprendente media di un gol a partita. Offuscato dal contemporaneo arrivo di Ronaldo, il Chino (come viene soprannominato) è un oggetto misterioso, ma il suo esordio in maglia nerazzurra è scintillante: prima giornata del torneo 1997/98, l’Inter è sotto a San Siro con il Brescia. Al 70’ Recoba entra in campo e in cinque minuti, con un tiro da 30 metri e una punizione, ribalta il risultato. Un fenomeno, si azzarda a dire qualcuno. Tuttavia, nonostante il promettente inizio, il resto della stagione è al di sotto delle aspettative: per il Chino altre 7 partite, e un solo gol, contro l’Empoli (un pallonetto da 35 metri). Troppo poco per l’esigente Moratti che decide di spedirlo a Venezia “a farsi le ossa”. In laguna Recoba entusiasma pubblico e critica contribuendo attivamente alla salvezza dei neroverdi: per lui 19 presenze da titolare e 10 gol.

Le sue prestazioni convincono l’Inter a richiamarlo alla base, ma c’è un problema: Recoba è extracomunitario e la rosa dell’Inter ne conta già cinque, tanti quanti ne permette il regolamento: Simic, Jugovic, Ronaldo, Cordoba e Mutu. Ma la soluzione arriva a tempo di record: il 12 settembre 1999, a poco più di due mesi dal suo ritorno a Milano, Recoba ottiene l’agognato passaporto comunitario. E questo nonostante nel 1997 si fosse infruttuosamente cercato di rintracciare un avo spagnolo del calciatore.

La stagione 1999/2000 termina con il quarto posto dell’Inter che però può consolarsi con le brillanti prestazioni dell’uruguaiano neocomunitario, il quale infila 10 gol in 27 partite. Il rendimento di Recoba ingolosisce alcune squadre italiane e straniere che meditano di strapparlo ai nerazzurri, grazie all’imminente scadenza contrattuale con data giugno 2001. Recoba non ha nessuna intenzione di lasciare le comodità meneghine e ottiene da Moratti un faraonico rinnovo, ben oltre il miliardo e duecento milioni fino ad allora percepiti. Un contratto, a dire il vero, mai visto prima: 15 miliardi l’anno più i diritti di immagine e, non specificata sul contratto, una percentuale sull’acquisto di alcuni suoi connazionali. In totale 19 miliardi. Una cifra che crea scalpore e qualche invidia all’interno dello spogliatoio. E poco importa se poi i risultati sportivi non si riveleranno in linea con le aspettative: nel 2000/01 Recoba si attesta su una media discreta (8 reti in 29 apparizioni) ma l’Inter non va oltre un quinto posto, a 24 punti dalla Roma scudettata.

Ma non sono solo le vicende legate all’ingaggio ad attirare le attenzioni dei media. In arrivo c’è una bufera: il 14 settembre 2000, i calciatori dell’Udinese Warley e Alberto, in trasferta con la squadra, vengono fermati alla frontiera polacca a causa di irregolarità nei loro passaporti (In realtà il sindacato calciatori aveva già fiutato il problema molto prima: in una lettera del 3 dicembre 1998, il segretario Maioli aveva richiesto alla Federcalcio una lista dei calciatori extracomunitari con passaporto italiano, nonché le relative documentazioni. La Figc, il 3 febbraio 1999, rispose con un elenco incompleto in cui figuravano solo 15 nomi. Coda di paglia?). Passaporti che si rivelano falsi. Ma è solo la punta dell’iceberg: molti altri calciatori del nostro campionato sono in possesso di documenti fasulli e il fenomeno sembra essere assai diffuso. È il cosiddetto scandalo di “Passaportopoli”, nella cui rete finiscono sette società (Inter, Lazio, Roma, Milan, Udinese, Vicenza, Sampdoria), 14 giocatori (Recoba, Veron, Fabio Junior, Bartelt, Dida, Warley, Jorginho, Alberto, Da Silva, Jeda, Dedè, Job, Mekongo, Francis Zé) e quindici dirigenti (Oriali, Ghelfi, Baldini, Cragnotti, Governato, Pulici, Pozzo, Marcatti, Marino, Sagramola, Briaschi, Salvarezza, Mantovani, Arnuzzo, Ronca). L’Inter ne viene ufficialmente coinvolta il 30 gennaio 2001, quando il pm di Udine, Paolo Alessio Vernì, ordina un’ispezione nella sede della società e nell’abitazione milanese di Recoba: anche il suo passaporto risulta contraffatto.

A tale provvedimento via Durini risponde con un comunicato distaccato e sintetico: «La società è totalmente estranea all’oggetto dell’inchiesta ed ha totale fiducia nella buona fede di Recoba». Ma la realtà è molto diversa e la rivela il pm di Roma, Silverio Piro, che conduce le indagini sulla vicenda: il dirigente interista Oriali, su suggerimento del consulente della Roma, Franco Baldini (vedi capitolo), si è messo in contatto con un misterioso faccendiere rispondente all’esotico nome di Barend Krausz von Praag, il quale lo ha aiutato nell’ottenimento del documento. Oriali sarebbe volato di persona a Buenos Aires dove, grazie agli uffici di Krausz presso un’improbabile agenzia, avrebbe dato avvio alla pratica.

Recoba, interrogato al riguardo, dice di non saperne nulla e di essersi improvvisamente ritrovato con il passaporto pronto. Il documento, afferma il Chino, gli è stato consegnato da Oriali il 9 settembre 1999 alla Borghesiana, alla vigilia di un Roma-Inter di campionato. Ma per gli inquirenti ci sono due particolari che non tornano: il documento riporta una data di rilascio precedente di un anno, 9 novembre 1998, e Recoba risulta residente a Roma. Perché né Oriali, né Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato interista che ha seguito la pratica, si sono accorti di questa incongruenza? Perché nessuno, nemmeno il calciatore, ha fatto notare e ha richiesto di correggere l’errore? La procura di Udine informa anche che sette mesi dopo l’emissione del passaporto l’Inter si è mossa alla ricerca di antenati spagnoli. Perché questo eccesso di zelo da parte della dirigenza nerazzurra se il calciatore era già in possesso del documento? Il quadro si complica quando Oriali nega di aver versato per conto dell’Inter 80 mila dollari, cifra che Krausz, in un precedente interrogatorio della Procura di Roma, ha detto di aver ricevuto per mano sua.
La risposta è una sola: il passaporto è falso. Ma non solo, la dirigenza dell’Inter era pienamente consapevole del percorso fraudolento che stavano per intraprendere, dal momento che non è mai stata presentata alcuna richiesta di rilascio alle autorità italiane, come regolare prassi richiede.

Un caso complesso e intricato ma dalla sostanza semplice: se il passaporto del laziale Veron era vero ma ottenuto attraverso false documentazioni (atti di nascita, matrimonio, ecc…), quello dell’uruguaiano è direttamente contraffatto. Una patacca, direbbero a Roma.

Dopo le sconcertanti rivelazioni delle Procure di Roma e Udine, arrivano le sdegnate reazioni del mondo sportivo. C’è sdegno e le società non coinvolte nella questione passaporti protestano. Andrea Manzella, presidente della Corte Federale, cerca di rassicurare tutti sulla velocità e sul rigore degli eventuali procedimenti disciplinari. Ma il risultato è patetico:
La regolarità delle partite è un bene assoluto, e su questo non si transige: la buona fede di società o singoli non conta, conta solo che alle gare abbiano partecipato giocatori che non ne avevano diritto. L’Authority ha deciso di aspettare la dichiarazione di falsità della magistratura a meno che il falso risulti macroscopico, ictu oculi, o che vi sia ammissione di colpa del club o del giocatore”, ha spiegato Manzella. “In questi casi, le sanzioni saranno immediate”. Fra una decina di giorni anche l’Inter quindi sarà deferita, e il processo sportivo si concluderà, fra Disciplinare e Caf, entro aprile o maggio. Difficile ipotizzare la sconfitta a tavolino di tutte le gare dei nerazzurri con Recoba “italiano”, più probabile una penalizzazione in classifica di 5/6 punti. Nel caso, quindi, l’Inter dovesse qualificarsi per la Coppa Uefa sarebbe retrocessa in classifica, lasciando il posto in Europa ad un altro club. E nel caso si salvasse? Questione delicatissima, ma teoricamente il club di Moratti rischierebbe anche la serie B” (Repubblica, 9 febbraio 2001)
L’Inter, secondo i regolamenti, dovrebbe essere sconfitta a tavolino ed essere sanzionata di un punto per ogni partita in cui ha schierato Recoba come comunitario. Il totale ammonterebbe all’enorme cifra di 56 punti, con la conseguente retrocessione del club nerazzurro, sia che il provvedimento venga applicato nel campionato precedente (il 1999/2000, dove ha ottenuto 58 punti) che in quello ancora in corso (il 2000/2001, a fine anno ne totalizzerà 51). Con una tale penalità l’Inter sarebbe la prima squadra a scendere sotto lo zero in classifica. Ma è pura fantascienza e ci si rende conto che una tale sanzione, seppur giusta, non verrà mai applicata. Si parla di penalizzazioni o, per lo meno, si spera:
"Roma, Lazio, Inter, Udinese e Napoli penalizzate. Cinque, sei punti in meno ad ognuna all’inizio della prossima stagione, quella premondiale; oppure con handicap sostanzialmente differenti, stangate per i casi più gravi di manomissione (Veron, Recoba, Cafu) […] Nei fatti però, quasi la metà del prossimo campionato italiano sarà “ad handicap”, consegnato nelle mani di chi dallo scandalo non è stato travolto. […] Di colpo di spugna si è parlato a lungo. Ma non si può ormai cancellare uno scandalo che ha investito almeno sei procure, una ventina di giocatori e una quindicina di dirigenti, dal direttore generale dell’Inter ai presidenti di Roma e Lazio. Non si può cancellare uno scandalo che la Fifa stessa chiede di reprimere duramente. Non si possono chiudere gli occhi quando in Francia hanno già penalizzato delle squadre e in Spagna si sono già sospesi dei giocatori". (Repubblica, 21 marzo 2001).

Il 5 marzo l’Ufficio Inchieste della Federcalcio conclude le indagini ed emana i deferimenti:
La giustizia sportiva, con i deferimenti di ieri, va avanti. Nessun colpo di spugna, nessuna sanatoria. Non si aspetterà l’estate, a campionato concluso, per intervenire sullo scandalo dei passaporti falsi. Già nel mesi di aprile sfileranno davanti alla Disciplinare i primi club e i primi giocatori coinvolti: le sanzioni (squalifiche per i calciatori e penalizzazioni in classifica per i club) saranno scontate in questa stagione (ibidem, 6 marzo 2001).

Il processo si annuncia complicato e le conseguenze spaventose: l’applicazione di punti di penalizzazione potrebbe compromettere la salvezza o la qualificazione alle coppe europee delle società coinvolte. Ma c’è una scappatoia, alla quale più di tutti sta lavorando Galliani, l’amministratore delegato del Milan: la riforma dell’articolo delle norme federali che limita l’impiego dei calciatori extracomunitari. Una modifica della regola comporterebbe un’attenuazione molto sostanziosa delle pene. L’Inter gradisce l’idea e si unisce alla battaglia:
Passaporti, è guerra aperta ormai: l’Inter attacca la Figc, cercando ogni strada per dichiarare illegittimo l’articolo 40, settimo comma delle Noif. In una nota del professor Mucciarelli, che fa parte del collegio di difesa nerazzurro, l’Inter sottopone infatti “direttamente alla Corte Federale, organo competente in materia, il giudizio in ordine alla legittimità della norma federale sul tesseramento dei giocatori extracomunitari”.
(ibidem, 5 aprile 2001).

La Commissione Disciplinare fissa le date dei processi contro ogni singola società. Il presidente Manzella, ancora una volta, si sente di garantire la celerità dei procedimenti giudiziari, ma nessuno sembra più credergli dato che la rettifica della norma sugli extracomunitari appare giorno dopo giorno sempre più probabile. La vicenda sta diventando una farsa:
Per Porceddu le prove sono sufficienti per chiedere di processare il club nerazzurro e il giocatore. L’udienza è fissata per il 19 aprile. A meno che i tanti ricorsi alla Corte Federale sulla legittimità della norma che limita gli extracomunitari facciano slittare tutto a fine campionato, come vogliono i club. “Agiremo in fretta non appena riceveremo i ricorsi”, garantisce Manzella. (ibidem, 8 aprile 2001)
Tuttavia un procedimento unico consentirebbe alle società di essere giudicate con minore severità. Ed è proprio quello che intende proporre Galliani, il quale provvidenzialmente annuncia: «È giusto fare un solo processo e che eventuali squalifiche e penalizzazioni arrivino tutte insieme».

Puntuale giunge il ricorso alla Corte Federale da parte dei club, e poco importa se l’articolo 16 comma b) del Codice di Giustizia Sportiva preveda l’ammissibilità del ricorso solo da parte del presidente della Federazione o di «qualsiasi organo operante nell’ambito federale che vi abbia interesse». Moratti si schiera con Galliani (altri tempi…) e rilascia una dichiarazione che, col senno di poi, si rivela incredibilmente comica: «Se squalificano Recoba e poi la giustizia ordinaria lo assolve, chi ci restituisce squalifiche e penalizzazioni?» (È incredibile come tutti i personaggi coinvolti nella vicenda si appellino al pronunciamento della giustizia ordinaria (vedi anche Cragnotti con Veron). Allo scoppio di Calciopoli, invece, nessuno ha atteso il concludersi dell’iter giudiziario: le sentenze sono state emesse in due settimane. E se la giustizia ordinaria assolve Moggi e Giraudo, chi restituisce alla Juventus la serie A e gli scudetti?). Come vedremo più avanti, Recoba e Oriali verranno condannati dalla giustizia ordinaria e l’Inter non restituirà i punti ottenuti con l’uruguaiano comunitario in campo. In ogni caso, la tattica è precisa: ottenere l’accorpamento dei processi e rimandarne lo svolgimento a fine stagione, confidando nell’ormai quasi certa rettifica dell’articolo 40. Il gioco funziona e l’udienza per l’Inter, in programma il 20 aprile, viene rinviata:
"Avanti a forza di rinvii: il processo all’Inter, per il passaporto falso di Recoba, si farà. Ma più avanti. Quando non si sa: forse a maggio, forse a fine stagione. Ma soltanto dopo che la Corte Federale, presieduta da Andrea Manzella, si sarà pronunciata sul ricorso (che abbiamo visto essere irregolare, nda) presentato non solo dal club nerazzurro, ma anche da Milan, Udinese, Lazio, Vicenza e Sampdoria. Tutti questi club chiedono infatti che venga abbattuto il tetto del tesseramento (massimo cinque) e all’impiego (massimo tre) dei calciatori extracomunitari. Si va insomma verso minicondanne. La Disciplinare ieri ha accettato subito la richiesta di rinvio al processo dell’Inter presentata dallo stesso Procuratore Federale, Carlo Porceddu in accordo con i legali nerazzurri". (Repubblica, 20 aprile 2001).

Il tempo gioca a favore dei nerazzurri e delle altre società implicate in Passaportopoli. Società che il 3 maggio 2001 vedono finalmente premiati i loro sforzi, con il più annunciato dei colpi di spugna: a sei giornate dalla fine del campionato e nonostante la strenua opposizione dell’Associazione Calciatori presieduta da Campana, arriva la modifica della norma sul tesseramento e sull’impiego degli extracomunitari. E pazienza se le regole vengono cambiate in corsa, con Roma e Juventus a contendersi lo scudetto punto su punto. Chi ha rispettato le regole viene fatto fesso. E chi ha falsificato i passaporti? Ormai è chiaro che tutto sta per passare in cavalleria:
"Il processo a Inter, Milan, Samp, Udinese, Vicenza, a cui presto si unirà anche la Lazio per Veron, si farà. Ma con questa norma dichiarata illegittima, le sanzioni saranno più blande. Qualche minisqualifica da scontare magari in estate. Quando il campionato è fermo". (Repubblica, 5 maggio 2001).


 

Il processo, come desiderato, inizia il 12 giugno 2001 a campionato praticamente finito (il 17 è in programma l’ultima giornata) e con la certezza di un dibattimento e di una sentenza unica. Con all’orizzonte la più classica delle soluzioni “all’italiana” qualcuno crede ancora nella giustizia, ma è solo l’ultimo, disperato, grido:
"Delicatissima, quasi disperata, la situazione dell’Inter, dove c’è un coinvolgimento diretto dell’amministratore delegato Ghelfi e del direttore sportivo Oriali. Recoba ha scaricato su di loro ogni responsabilità per quel falso passaporto italiano: ma per Porceddu (procuratore federale, nda), l’uruguaiano, ex italiano Recoba è colpevole di slealtà e quindi anche per lui chiederà due anni di squalifica". (Repubblica, 13 giugno 2001).

Il 27 giugno arrivano le sentenze, che confermano le previsioni della vigilia. Squalifiche solo ai calciatori, alle società un buffetto sulla guancia (leggi ammende pecuniarie). L’Inter se la cava con una multa di due miliardi, Recoba e Oriali sono squalificati per un anno, Franco Baldini per nove mesi (Krausz non viene processato in quanto non tesserato alla Federcalcio). Ovviamente assolto l’amministratore delegato nerazzurro Rinaldo Ghelfi, al quale era stata addebitata la responsabilità diretta. In questo modo sono scongiurate le tanto temute penalizzazioni in classifica.

Vediamo, caso per caso, le motivazioni della sentenza della Commissione Disciplinare della Lega Calcio. Partiamo da Recoba:
il passaporto italiano del calciatore non risulta essere mai stato rilasciato dalla Questura di Roma, Il Recoba non aveva alcun titolo al rilascio di un passaporto italiano per assoluta inesistenza in capo allo stesso dei presupposti indispensabili, ed in primo luogo alla cittadinanza italiana. A siffatta conclusione si perviene […] sulla base delle sole dichiarazioni rese dal calciatore all’Ufficio Indagini ed alla Procura della Repubblica di Udine. […] Il calciatore ha inoltre escluso di aver mai svolto alcuna pratica od inoltrato alcuna richiesta tendente al rilascio di un passaporto italiano.

La Disciplinare riconosce quindi la falsità del documento e l’estraneità del calciatore dal processo di contraffazione. Tuttavia Recoba è da considerarsi comunque colpevole poiché non poteva essere completamente all’oscuro di quello che stava succedendo e perché avrebbe dovuto quantomeno domandarsi la ragione delle irregolarità presenti nel documento (l’indirizzo di residenza e la data di rilascio):
In nessun caso il calciatore avrebbe potuto confidare nella veridicità “ideologica” del passaporto italiano che gli venne consegnato alla Borghesiana il 12 settembre 1999 dall’Oriali. [ciò costituisce] grave violazione dei principi di lealtà, probità e rettitudine alla cui osservanza sono tenuti tutti i destinatari delle norme federali, come dispone l’art.1 del C.G.S.

Si tratta infatti di utilizzare mezzi scorretti, o addirittura fraudolenti, al fine di ottenere il riconoscimento di un titolo non spettante, traendone un indebito vantaggio. È superfluo il sottolineare, in proposito, che il fatto di diventare “comunitario” ha recato benefici non solo economici sia al calciatore, quanto meno sotto il profilo della libertà assoluta di circolazione del tesserato nell’ambito delle Federazioni comunitarie, sia alla Società di appartenenza, per una migliore utilizzazione dell’organico disponibile. […] La sconcertante faciloneria con cui Recoba, sebbene “stupito” di aver ottenuto un passaporto italiano, se ne è servito perché gli conveniva acquisire lo status di comunitario, assume, alla luce delle considerazioni sopra svolte , un significato probatorio decisivo ai fini dell’accertamento della partecipazione attiva e pienamente consapevole del tesserato alla realizzazione dell’illecito.

Per quanto riguarda Oriali:
risulta dagli atti che questi, all’inizio della collaborazione con l’Internazionale a giugno 1999, apprese che la Società aveva interesse alla variazione di status del Recoba da extracomunitario a comunitario e che a tal fine era stato interessato uno studio legale spagnolo, le cui ricerche si erano però arenate, trattandosi di pratica complicata che richiedeva in ogni caso, tempi molto lunghi.

Risulta altresì che l’Oriali si interessò della questione Recoba assumendo concrete iniziative finalizzate al conseguimento della variazione di status del calciatore, prendendo contatto con il Baldini per conoscere “come facevano alla Roma per i passaporti” e chiedergli l’indicazione di qualcuno che potesse aiutare l’Internazionale a modificare lo “status” del Recoba. Avuto dal Baldini il nominativo del Krausz (da lui peraltro già conosciuto), l’Oriali si attivò per l’avvio della “pratica”, seguendone poi lo svolgimento sino alla conclusione. Egli provvide infine a consegnare a Recoba, il 12 settembre 1999, il passaporto italiano che gli era stato appena fornito dal Krausz.

A carico dell’Oriali gravano elementi di accusa:

a) fu l’Oriali a ricevere il passaporto dal Krausz. Prima di consegnarlo a Recoba, egli ebbe modo di esaminarlo e di rilevare che la data di emissione risaliva al 9 novembre 1998, cioè quasi un anno prima del giorno della consegna […]

b) Oriali ebbe anche modo di rilevare, esaminando il passaporto, che dal documento Recoba risultava residente a Roma, circostanza non corrispondente al vero, e che sul passaporto era applicata una fotografia del Recoba di cui egli “non sapeva nulla”.

c) fu l’Oriali ad incaricare Krausz dello svolgimento della “pratica” in Argentina e ad autorizzare, dopo aver ottenuto l’assenso della Società, il versamento della somma di 80.000 dollari pretesi dalla Liliana Rocca quale compenso per l’ottenimento del passaporto.

d) fu l’Oriali a promuovere un incontro con Baldini, alla presenza di Ghelfi, nel corso del quale venne chiesto al Baldini di assumersi tutta la responsabilità dell’operazione […]

e) l’Oriali, essendo a conoscenza dei precedenti infruttuosi tentativi svolti in Spagna per il conseguimento della cittadinanza comunitaria del calciatore, non poteva confidare nella correttezza e regolarità di un passaporto italiano di Recoba ottenuto in Argentina da una non meglio precisata “agenzia”, in tempi a dir poco fulminei, dal momento che egli sapeva che da parte di Recoba non era stata presentata ad alcuna autorità italiana la domanda di rilascio del passaporto.

Secondo quest’ultimo punto la responsabilità di Oriali è gravissima: egli infatti ben conosceva le lungaggini burocratiche che comportavano pratiche di questo tipo e ne aveva fatto esperienza in Spagna, durante l’inutile ricerca dell’avo di Recoba. Oriali, il quale non ha mai avanzato richiesta di rilascio in Italia, non poteva essere così ingenuo da credere che un passaporto ottenuto in un mese, e in Argentina, potesse essere regolare:
L’affermazione dell’incolpato, di non essere stato consapevole della pretesa illegittimità del documento e di non aver dubitato della correttezza delle persone alle quali aveva affidato, per conto della Soc.Internazionale, lo svolgimento della “pratica”, si riduce a mera allegazione difensiva priva di effettivo riscontro, che non intacca minimamente il completo e convincente quadro probatorio raccolto a suo carico.

Stabilita la colpevolezza di Oriali (la quale chiama pesantemente in causa anche Franco Baldini) rimane da sciogliere il nodo più importante: il ruolo di Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato dell’Inter. Il suo coinvolgimento è fondamentale perché comporta la responsabilità diretta da parte della società nerazzurra. Secondo l’art.8, comma 6 del Codice di Giustizia Sportiva infatti:
La violazione delle Norme Federali in materia di tesseramenti di calciatori extracomunitari compiuta mediante falsa attestazione di cittadinanza costituisce grave illecito sportivo. Le Società, i loro dirigenti, soci e tesserati che compiano direttamente o tentino di compiere, ovvero consentano che altri compiano, atti volti ad ottenere attestazioni o documenti di cittadinanza falsi o comunque alterati al fine di eludere le norme in materia di ingresso in Italia e tesseramento di calciatori extracomunitari, ne sono responsabili e sono puniti ai sensi dei commi 7 e 8 seguenti. (Il comma 7 parla della responsabilità diretta e rimanda alle sanzioni previste dall’art.13, lettere f), g), h) i), nda)

La falsificazione di un documento costituisce quindi “grave illecito sportivo” e, in caso di responsabilità diretta, le pene sono severe: (in ordine decrescente di gravità) revoca di eventuali titoli conquistati (non è il caso dell’Inter), esclusione dal campionato di competenza, retrocessione in serie B, penalizzazione di punti in classifica.

La sentenza della Disciplinare parla apertamente dell’attiva partecipazione di Ghelfi ma lo fa con una marchiana contraddizione. Dapprima informa che l’amministratore delegato si sarebbe interessato del passaporto solo a rilascio ottenuto:
Al sig. Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato alla Soc.Internazionale, viene contestata la partecipazione alla illecita condotta posta in essere dai tesserati della sua Società, Recoba ed Oriali in concorso con Baldini e con terzi non tesserati. Peraltro, dagli accertamenti svolti in sede di indagini risulta un intervento diretto del Ghelfi nella vicenda soltanto nel maggio 2000, momento in cui era divenuta di pubblico dominio la notizia di possibili irregolarità riguardanti il conseguimento dello status di comunitario da parte del calciatore della Lazio Veron.

Quindi, poche righe dopo, viene affermato che Ghelfi era ben cosciente fin dall’inizio di cosa comportasse l’avvio della pratica in Argentina. Oriali, infatti, non ha interessi personali ad ottenere un passaporto per Recoba, ma si è mosso solo in seguito a precise indicazioni societarie:
Oriali, non essendosi attivato per il passaporto di Recoba a titolo meramente personale, deve aver tenuti informati i vertici della Società sull’andamento della pratica. Dagli atti risulta che almeno in due momenti Oriali deve essersi consultato con i propri superiori: il primo quando si trattò di dare il “via” alla pratica in Argentina ed il secondo quando si trattò di effettuare su indicazione di Krausz, il bonifico di 80.000 dollari, che doveva essere autorizzato dai vertici societari.

Quindi, se Oriali sapeva della contraffazione del passaporto e non poteva non considerare 80 mila dollari in nero”, fatto che aggrava ulteriormente la posizione dei vertici dirigenziali interisti. È infatti difficile immaginare che Oriali abbia sborsato, di tasca sua e di sua iniziativa, 80 mila dollari:
una cifra spropositata, ci si chiede che cosa abbia detto a Ghelfi per ottenere il via libera all’operazione e il pagamento dell’importo. Inoltre, la sentenza rivela che la somma fu pagata “
l’inesistenza nei libri contabili della Società di un pagamento di tale importo potrebbe significare che alla liquidazione del compenso si sia provveduto in forma non ufficiale, cosa che costituirebbe un ulteriore indizio di responsabilità a carico dei referenti di Oriali.

Il quadro accusatorio è quanto mai chiaro. Ci sono tutti gli estremi per un coinvolgimento diretto dell’Inter, a meno che non si considerino i suoi dirigenti incapaci di intendere e di volere. La Disciplinare, invece, non se la sente di affibbiare tale responsabilità all’Inter (=gravi sanzioni) e la sentenza, da una riga all’altra, cambia completamente registro, assolvendo miracolosamente Ghelfi:
Dagli atti, tuttavia, non è desumibile alcuna circostanza che faccia riferire al Ghelfi, in modo certo ed inequivoco, l’adozione di decisioni in tal senso, non potendosi escludere in modo assoluto l’ipotesi che altri soggetti abbiano provveduto nei predetti termini.

Ritiene pertanto la Commissione che il sig.Rinaldo Ghelfi debba essere prosciolto dall’addebito. La Soc.Internazionale risponde dell’operato dei propri tesserati Recoba ed Oriali a titolo di responsabilità oggettiva.

Con una ridicola motivazione, che sarà superata in assurdità solo da quella di Calciopoli, la Disciplinare alleggerisce l’Inter da ogni imputazione. Secondo la sentenza, quindi, Oriali avrebbe fatto tutto da solo: non ha avvisato nessuno e ha pagato personalmente gli 80 mila dollari. Peccato che in sede di interrogatorio egli abbia negato di aver mai pagato quella somma. Niente male come dirigente.

Il 22 luglio la Caf conferma i verdetti di primo grado e l’Inter incredibilmente annuncia di sentirsi danneggiata. La protesta ufficiale del club è da circo delle comiche:
La pronuncia della Caf è iniqua in fatto, poiché non è stata riconosciuta l’evidente buonafede del Recoba e dell’Oriali, e in diritto, perché si è voluto punire il preteso tesseramento come comunitario del calciatore, nonostante la dichiarazione di illegalità della norma che discriminava i giocatori extracomunitari. Pare clamoroso che la pretesa violazione dei doveri di probità sia stata giudicata ben più grave dei casi di doping esaminati dalla Caf (in riferimento ai casi di Bucchi e Monaco, nda)

I lamenti interisti funzionano e, ad ottobre, la Camera di Conciliazione del Coni dà l’ultima pennellata al quadretto, riducendo la squalifica di Recoba a 4 mesi (il quale la sconta per metà in estate), quella di Oriali a 6 e abbassando l’ammenda alla società a un miliardo e quattrocento milioni. Ma manca ancora il responso della giustizia ordinaria per mettere la parola fine alla vicenda. Il 25 maggio 2006, sette anni dopo il fatto contestato, il Tribunale di Udine condanna Oriali e Recoba, i quali ammettono la falsificazione dei documenti (spunta anche una patente “taroccata” del calciatore) e patteggiano la pena:
ANSA –Il Gip del Tribunale di Udine, Giuseppe Lombardi ha accolto la richiesta di patteggiamento dell'attaccante uruguayano Alvaro Recoba dell'Inter e del dirigente nerazzurro Gabriele Oriali, infliggendo la pena di sei mesi di reclusione ciascuno (sostituita con una multa di 21.420 euro) per i reati di concorso in falso e ricettazione nell'ambito dell'inchiesta sulle procedure seguite per far diventare comunitari giocatori che non avevano antenati in Europa. Nell'inchiesta, divisa in vari filoni, sono coinvolte 31 persone fra le quali 12 calciatori. Oltre al concorso in falso per l'assenza di antenati in Europa, a Recoba e Oriali l'accusa contesta il reato di ricettazione relativo alla patente italiana ottenuta dal calciatore uruguayano, che faceva parte di un gruppo di documenti rubati negli uffici della Motorizzazione di Latina.

La farsa si è finalmente conclusa: Oriali, che in sede sportiva ha negato di essere consapevole della contraffazione, si dichiara colpevole patteggiando la condanna in sede penale.

Una storia patetica che ha ancora due appendici nell’estate del 2006. Dopo la condanna del Tribunale di Udine alcuni tifosi della Juventus si accorgono di un dettaglio della storia colpevolmente trascurato: un passo della sentenza del Tribunale friulano («non è infine pensabile che l’Oriali possa aver agito da solo, senza avvertire del suo operato i dirigenti suoi diretti superiori») riafferma la responsabilità diretta della società nel conseguimento del passaporto (d’altra parte ammessa e poi negata nelle motivazioni della Disciplinare). Ciò costituirebbe un nuovo elemento di indagine tale da poter condurre alla riapertura del procedimento disciplinare, secondo l’articolo 18 comma 3 del Codice di Giustizia Sportiva: «L'apertura di una inchiesta, registrata con data certa da parte dell'Ufficio indagini o di altro organismo federale, interrompe della prescrizione. La prescrizione decorrere nuovamente dal momento della interruzione».

Consci di questa possibilità, i tifosi inviano un esposto in Federcalcio per chiedere la revisione delle sentenze dei procedimenti sportivi. La documentazione viene poi girata al capo Ufficio Indagini della Figc, Francesco Saverio Borrelli, al quale spetta l’incarico di approfondire le nuove circostanze emerse. La notizia giunge al quotidiano Tuttosport che per alcuni giorni parla dell’iniziativa. Ma è solo un fuoco fatuo: nessuno ha voglia di sporcarsi le mani e di andare contro ai nuovi padroni del calcio italiano dopo la farsa di Calciopoli, Massimo Moratti e Marco Tronchetti Provera.

Il 26 luglio, durante un telegiornale Rai viene annunciato che, in seguito alle sentenze d Calciopoli, lo scudetto 2005/06 è stato assegnato all’Inter. Per raccogliere le reazioni dell’ambiente nerazzurro si apre un collegamento con Brunico, dove la squadra sta per disputare un’amichevole. A rispondere alle domande dell’inviato c’è Gabriele Oriali, il quale parla di “scudetto dell’onestà”. Proprio quell’Oriali che due mesi prima ha patteggiato la pena per truffa e ricettazione… Senza vergogna.